mercoledì 3 marzo 2010

Avevo trecento amici

di Carlo Andreoli


Molto meglio che al bar, gli amici si trovano quest’oggi su Facebook: un social network – com’è chiamato questo luogo di perdizione del buon senso – dove milioni di vite e d’esistenze umane s’incrociano a vicenda per celebrare, in allegria, un quarto d’ora di celebrità informatica.
“Come non sei su Facebook?!” mi fa l’amica esterrefatta, puntandomi lo sguardo basìto di chi conosce le delizie della vita e vorrebbe farne parte l’amico riluttante. “T’iscrivo io: guarda com’è facile!”. La registrazione parte, infatti, spedita come un rapido: trattandosi di rispondere ad una raffica di domande che ti farebbero, nel caso, l’anagrafe del comune, la dirimpettaia e poi l’amica del tuo cuore. Ti si chiede un po’ di tutto: sesso, età, stato civile, scuole e corsi frequentati, gusti e cibi prediletti, attitudini del corpo e della mente; come pure - se n’hai voglia - cartelle zeppe di foto d’occasione – diploma, laurea, compleanni, matrimoni e nozze d’oro– oppure ancora video, dei più vari e disparati, che ritraggano e immortalino la quotidianità.
Se avete varcato indenne questa forca caudina, ogni inibizione è come superata nell’atto in cui compare la vostra foto piccola nell’abaco di volti planetario. “Adesso, arriva il bello!” assume la mia amica-anfitrione. Dopo qualche giorno, comincia infatti a pioverti un buon numero di “richieste d’amicizia” cui è improbo sottrarsi: vecchi compagni di scuola e d’università, perduti amori ed ostici colleghi che manco salutavamo, ci offrono col cuore una profferta d’amicizia. E la faccenda, di lì a poco, si complica e infittisce, giacché inesorabilmente si finisce per diventare amici degli amici: sicché gente affatto ignota si prenota – fosse pure alle Canarie – per diventare vostra amica e condividere con voi momenti lieti di svago e di lazzo cibernetico. Perché un tale afflato cosmico d’affetto, comporta poi un dialogo che procede a un dipresso come segue: un’amica capo-cordata - ce n’è sempre una che si piglia tale incarico – esordisce, alle tre del pomeriggio, lamentando un forte mal di testa: “commenta” suggerisce un link. E così, di punto in bianco, un amico dietro l’altro si dà a confezionare una serie di pensieri, sopra il male momentaneo dell’amica, da far impallidire lo zibaldone del Leopardi. Mano mano, s’aggiungono altri amici – della torma già abbondante – che esternano altri gioielli di pensiero logico-umorale; fintanto che, a tarda sera, c’è un palinsesto di commenti, miniato dalle foto degli astanti, i quali, evidentemente, avranno un poco trascurato il lavoro e le bisogne di giornata pur di partecipare a simile consesso.
Ma come si fa ad emergere nel procelloso mare magnum di Facebook? Dato ch’emergere è considerato oggi un’esigenza indifferibile. Ci sono alcuni trucchi o vuoi consigli: il più notevole dei quali è quello d’essere ammiccante a tutti i costi. Nella scaletta “preferenze”, che appare sotto la tua foto, non mettere, ad esempio, le pappolate solite: come fanno centinaia di facebooker che hanno scoperto tutti assieme d’amare la nutella: metti la sacher-torte che, pur se non conosci, trovi invero deliziosa. E, nella sfilza degli amici, che scorre maliziosa e dilettevole, trascegli pure quelli che possano darti un tono d’allusiva sciccherìa: nomi e volti stuzzichevoli e di gente originale e alternativa. Anche se sei una cozza, solo così potrai dar atto – nella repubblica di Facebook – d’una tua avvenente, ancorché misconosciuta, personalità.
Io personalmente, dopo giorni di rodaggio, mi sono cancellato. Avere trecento amici, sarebbe stato troppo finanche per il serafico d’Assisi. E poi il tipo di relazioni riscontrate mi portava alla memoria certi incontri da vagone ferroviario da dimenticare. Sarò pure démodé, ma quando parlo ad un amico pretendo ancora di guardarlo negli occhi. E tutto questo, la collezione d’avatar di Facebook, non riesce proprio a garantirlo. Se mi volete, dunque, non cercatemi su Facebook: ho il privilegio di non esserci.

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