lunedì 30 giugno 2008

Oggetti d’arte nelle chiese del Tirreno Cosentino

di Carlo Andreoli


A conclusione di questi nostri appuntamenti, vorrei affrontare oggi un argomento che completa il panorama dei beni d’arte del Tirreno Cosentino sotto un aspetto marginale ma pur sempre interessante: ed è quello degli oggetti d’arte presenti, a vario titolo, nelle nostre chiese.
Ad Aieta, per esempio, nella Chiesa di S. Maria della Visitazione, tra tante opere d’arte di valore, si trova un tabernacolo marmoreo d’arte toscana del ‘500 che, nelle sue ridotte dimensioni, rivela il gusto della prospettiva e del decoro plastico che fu proprio di quei tempi della Rinascenza. E ad Orsomarso, nella Chiesa del Salvatore, si conserva un piatto in rame d’arte tedesca del ‘400 che, recando sopra il fondo un’incisione di “S. Giorgio che uccide il drago”, ne fa un cimelio alquanto raro. Un complemento d’arte tipico di molte chiese antiche sono poi le sepolture. Ed a S. Maria dei Fiori di Cirella, ne abbiamo un saggio interessante nei monumenti funerari della famiglia ducale Catalano Gonzaga. Mentre, a Diamante, nella Chiesa dell’Immacolata, si presenta di pregevole fattura un capitello, che sorregge il fonte del battesimo, che è un lavoro secentesco derivante dalla chiesa antica di S. Nicola. Una sezione ricca del patrimonio delle chiese è data spesso dagli arredi sacri che, tra argenti ori e tessuti, formano un aspetto assai notevole del panorama d’arte e del gusto concorrente. La Chiesa di S. Benedetto di Cetraro dispone, in questo campo, d’una serie d’oggetti, appartenenti al ‘tesoro’ parrocchiale, che si mostrano preziosi e raffinati. Basti citare un bastone pastorale, in oro e pietre verdi, finemenente decorato; una pisside con ghirlanda di rubini ovvero, tra i tessuti, una pianeta damascata in filigrana d’oro che forma tralci e pampini di vite. Un pezzo d’arte d’assoluta eleganza fa parte pure del corredo della Chiesa del Rifugio d’Acquappesa. Si tratta d’un ostensorio a raggera che ha, nel nodo, un pellicano che si squarcia il petto per nutrire i propri figli: simbolo mistico del sacrificio di Cristo per la redenzione dell’umanità dal peccato originale. Un tipo di devozione popolare assai diffuso è poi quello degli ex-voto che prende spesso forme d’un’arte genuina e delicata. Come accade nella Chiesa del Suffragio a Fuscaldo, dove una serie di ricami ottocenteschi propone temi biblici con candida invenzione, formando prova suggestiva d’un’arte tutta domestica. Il sacramento della Penitenza trova nella confessione il suo momento culminante. E la confessione s’esercitava un tempo in discreti vani lignei che raggiungevano talora dignitosa forma d’arte. Nella Chiesa dell’Immacolata di Paola è, ad esempio, un confessionale con intarsi del ‘700 che dispone d’un accogliente vano anche per il penitente. Mentre, sempre a Paola, un esempio unico di portale ottocentesco è quello messo in opera da Carlo Palmiero per la Chiesa di S. Giacomo: ricco d’intagli dalle forme generose che si discostano dalla tipologia corrente per formare un disegno corposo e originale. E una raccolta vera e propria d’oggetti arte per la chiesa, di buona qualità, la ritroviamo infine nella Chiesa di S. Leonardo a S. Lucido; che, essendo di proprietà d’una famiglia d’antiquari, forma una collezione raffinata di quadri d’ogni epoca, mobili e sculture.
Quanto basta per dire che le vie dell’arte non sono solo quelle delle opere maggiori e più evidenti; riuscendo l’arte a penetrare ovunque sia un artista o un artigiano che si proponga il dilettevole, oltre che l’utile.



Radio1One
(Venerdì 27 Giugno 2008)

giovedì 26 giugno 2008

Palazzi e dimore signorili del Tirreno Cosentino

di Carlo Andreoli


Palazzi e dimore signorili sono presenti sul Tirreno Cosentino in grande numero ed offrono un repertorio interessante del modo in cui il ceto dominante ha espresso, nel tempo, il proprio ruolo per il tramite proprio dell’architettura.
Ad Aieta, troviamo un alto esempio di questa tipica espressione nel Palazzo Feudale che, ampliato, sulla metà del ‘500, dai Martirano sui modi di quell’arte toscana ch’era giunta fino a Napoli, declina il proprio stile nell’elegante loggia che ombreggia la facciata; cui s’aggiunsero poi nel ‘700 altri ambienti dovuti ai Cosentino e agli Spinelli. E proprio agli Spinelli si deve ancora la sagoma massiccia del Palazzo dei Principi a Scalea che, costruito anch’esso sopra un edificio preesistente della Famiglia Romano, di cui restano tracce interessanti d’arte medievale, presenta sale affrescate che videro, tra l’altro, la presenza di personaggi illustri come il Caloprese e Pietro Metastasio. Il Palazzo del Lago, che si trova nelle adiacenze di Buonvicino, s’impone invece per il suo squadrato impianto, disteso sopra un’area di circa 1.500 metri quadri, in cui trovano luogo file di granai, saloni al piano nobile e terrazzi che ne fecero, nel primo ‘700, sontuosa dimora della Famiglia Cavalcanti. Mentre un tipo singolare d’edilizia signorile rivierasca è ben rappresentato dalla Villa Giunti a Sangineto, discreta ed elegante, che s’annuncia nella loggia a tre arcate preceduta da una doppia scalea. La sorte del Palazzo del Capo a Bonifati fu invece molto più complessa: da luogo di stanza dei soldati, al tempo dei Normanni, divenne residenza estiva dei Principi Telesio e Carafa; per acquistare, nell’800, coi De Aloe le forme attuali che ne fanno un albergo esclusivo e raffinato. Nel centro urbano di Cetraro, attorno alla Chiesa Madre di S. Benedetto, si profila, invece, una cortina di palazzi signorili che segnò, sull’antico Corso Umberto, l’ampliamento ottocentesco del paese. Bello, tra tutti, il Palazzo Giordanelli che si proietta all’esterno in un plastico bow-window piuttosto raro dalle nostre parti. Ma un vero campionario di dimore signorili, tra i paesi della costa, ci è dato da Fuscaldo; dove intere squadre di maestri scalpellini, profittando del tufo locale, si sbizzarrirono a lungo nell’esecuzione di portali, logge e balconi commissionati dall’aristocrazia locale. Fra tanti esempi, distinguiamo allora il Palazzo Plastina, che s’adorna d’un aereo loggiato che s’allunga sul prospetto, ed il Palazzo dei Valenza ricco d’un cortile con scalone d’elegante disegno. Ed una rassegna esemplare di palazzi barocchi, che s’affacciano sulle vie del centro storico con balconi panciuti e e ringhiere decorate, la si riscontra a Paola; come indica l’esempio del palazzo che s’affaccia sopra Piazza del Popolo, di suggestivo effetto architettonico. Nella prossima S. Lucido, sono invece tipi di dimore ottocentesche, che emergono dal fondo di giardini con palmizi, com’è il caso di Palazzo Zagarese, ovvero d’edifici che s’intarsiano eleganti nel tessuto urbano, come il Palazzo Iorio. Mentre un caso originale di dimora signorile della Rinascenza, che s’apprezza soprattutto nella corte a logge sovrapposte, la ritroviamo a Fiumefreddo Bruzio, nel Palazzo Pignatelli. Cui fa da controcanto, sulla costa, un esempio di residenza estiva, nel Casino dei Gaudiosi, fregiato in sommità d’una fine merlatura a gigli traforati.
Un campionario d’edilizia che mostra, in fin dei conti, come l’architettura abbia raggiunto qui da noi un’espressione originale anche nel campo delle dimore signorili; conseguendo un risultato di notevole valore.


Radio1One
(Venerdì 20 Giugno 2008)

giovedì 19 giugno 2008

Arte in riviera

di Gaetano Bencivinni

Girovagare tra le bellezze artistiche della Riviera dei cedri. Scoprire il significato di luoghi, corrosi dal tarlo del tempo. Ascoltare i colori di tele, sfiorate dal magico suono di organi antichi. Tessere il senso di storie locali e di ataviche memorie, racchiuse nello scrigno dell’Arte in riviera.
L’architetto cetrarese Carlo Andreoli, studioso di arte locale, si aggira con la lanterna dell’appassionato ricercatore tra vicoli e sentieri di piccoli paesi del Tirreno cosentino ed illumina il patrimonio culturale, custodito nelle chiese, nei castelli, nelle torri, nei palazzi, nelle piazze, nei centri storici.
Paesi che si specchiano sul mare e s’aggrappano ai monti. Patrimonio artistico di pregio, spesso però ignorato persino dai residenti.
Storie di incontri fortuiti e fecondi di artisti e di scrittori con la terra dei cedri, baciata dal sole e dall’arte.
Una striscia serpentina che collega il Museo archeologico di Tortora con il centro storico di Fiume Freddo. Il Palazzo rinascimentale di Aieta con il Santuario di Paola, i Murales di Diamante con le chiese di Cetraro.
Una striscia di parchi, di fiumi, di leggende, di briganti, di culture e di linguaggi, che bisbigliano il palpito dell’Arte in riviera.
Andreoli ci offre un mosaico raffinato, una guida turistica di qualità, un vademecum prezioso per vacanzieri e per residenti distratti.
Un marketing culturale di prim’ordine, che punta i riflettori sui profumi di cedriere, che sussurrano il senso di messaggi segreti.
Abbiamo, ma non sappiamo.
Andreoli ci fornisce la chiave di accesso per scivolare leggeri sul tappeto dorato dell’Arte in riviera.

lunedì 16 giugno 2008

Viaggio nel mondo dei colori

di Daniela Ulacco
“…come mi venivano in mente le idee per i miei dipinti? Tornavo tardi la sera nel mio atelier e andavo a letto, a volte senza aver mangiato nulla. Vedevo cose e le annotavo sul mio taccuino.
Mi apparivano visioni sul soffitto.”

Entrando nei padiglioni della scuola materna “Andrea Torre”, si viene immediatamente colpiti dai magnifici lavori fatti dai bambini, alcuni dei quali fanno riferimento a grandi artisti del passato quali Renoir, Van Gogh, Mirò, Kandinsky e Klimt, ma soprattutto dalla varietà delle tecniche utilizzate.
Subito attirano l’attenzione quattro libricini, uno per ogni stagione, in cui sono raccolti i lavori di ogni singolo bambino. Ognuno di loro ha rappresentato l’estate, la primavera, l’autunno e l’inverno in modo molto personale, utilizzando i colori primari e secondari. Molto bello anche un cartellone di un albero rappresentato con la tecnica utilizzata dai puntinisti.
Non passano inosservate delle bottiglie contenenti acqua colorata, una diversa dall’altra; in realtà l’acqua vuole rappresentare un mondo di colore e ad ogni colore è stato dato un nome. Ad esempio verde fratello, arancio arancione.
Proseguendo e alzando un po’ lo sguardo si passa proprio sotto a dei veri e propri quadri di colore: ogni bambino ha trovato un nuovo colore da “ingabbiare su fogli plastificati” i quali sono diventati, come per magia, dei piccoli quadri.
Interessante anche il “tributo al quadrato”: si tratta di quattro quadrati colorati con diverse tonalità di giallo e disegnati uno sopra l’altro. La particolarità sta nell’illusione ottica tridimensionale che, facendo perdere al quadrato la sua rigidità e spigolosità, gli attribuisce, invece, una grande leggerezza.
Bellissimi anche i lavori sul Blu di Mirò e sull’azzurro cielo e l’oro nell’azzurro.
Interessante anche l’angolo dedicato all’arte, al cibo e alle culture diverse. Partendo dal libro “La terra raccontata ai ragazzi”, le maestre hanno mostrato ai loro alunni immagini di diversi Paesi che ispirano “visioni di paesaggi inconsueti, tappeti d’erba o d’acqua, macchie di colore, come quadri d’artista”.

“La proposta di questo progetto – si legge in una nota – intende lavorare sulla stimolazione della creatività personale attraverso sperimentazioni di regole e tecniche del linguaggio visivo, assumendo a nucleo tematico il colore come veicolo di un percorso sull’intercultura, inserito in un contesto più articolato di ipotesi e varianti. Il ciclo dei laboratori si propone da una parte di sensibilizzare la mente a un diverso modo di procedere, dall’altra di privilegiare il processo rispetto al risultato, per sviluppare un metodo di lavoro basato sul gioco e il fare; in questo senso il percorso didattico vuole stimolare una capacità operativa sulla materia gettando, così, qualche chiave per una grammatica visiva e portando avanti parallelamente la tematica della multiculturalità, sviluppando un discorso sul colore, anche come metafora dell’incontro, conoscenza e scambio tra popoli e culture diverse, partendo dalle diversità di ogni bambino”.

È stato come entrare in un mondo fantastico, irreale…è stato come viaggiare leggera, lasciandomi guidare soltanto dai colori, dalle sensazioni e dalla vivacità di quello che mi circondava. Le voci dei bambini di sottofondo mi hanno accompagnata durante il mio breve ma intenso viaggio nel colore.

“Il tema interculturale viene proposto – si continua a leggere nel progetto presentato dalle maestre – partendo dal tema dell’identità e diversità come approccio al mondo e alle cose usuali e comuni, che possa portare in seguito alla formazione di una propria visione del mondo. Così oggetti, elementi naturali, colori,animali, volti, esperienze acquistano la dimensione di metafora dell’incontro e dello scambio, della conoscenza e del rispetto delle differenze veicolati da un filo rosso che corre sotterraneo ma sempre presente a collegare tutti gli incontri: il colore e la narrazione di storie che parlando di identità, conoscenza, valore della differenza, incontro”.

Un piccolo viaggio che vale la pena fare per ritrovare la semplicità e per riabituare i nostri occhi e il nostro animo alla bellezza dei colori che ci circonda e che troppo spesso tendono solo al bianco o al nero.

domenica 15 giugno 2008

Maestri napoletani del ‘700 nel Tirreno Cosentino

di Carlo Andreoli


Nel panorama variegato dei beni d’arte del Tirreno Cosentino è dato circoscrivere anche una serie di lavori di maestri napoletani del ‘700 che si richiamano alla migliore tradizione del barocco.
A Scalea, nella Chiesa di S. Maria d’Episcopio, è, ad esempio, una tela della “Circoncisione di Nostro Signore” che viene attribuita in genere a Paolo de Matteis: uno dei massimi talenti della Pittura Napoletana della fine del ‘600 che, proseguendo l’esperienza di Luca Giordano, precorre le atmosfere rarefatte del barocco in una chiave di fantasioso classicismo: come evidenzia il suo dipinto dell’Allegoria delle Arti conservato nel Getty Museum di Los Angeles. E seguace di Paolo de Matteis, oltre che suo cognato, fu pure Giovan Battista Lama; di cui abbiamo a Belvedere, nella Chiesa di S. Maria del Popolo, una tela della “Visitazione della Vergine” che vale chiaro esempio della sua arte soave e raffinata che attinge nel pastoso chiaroscuro un delicato gusto classicheggiante. Unico lascito in Calabria, oltretutto, di questo prezioso artista. Così come unico risulta ancora un intero ciclo di pitture, già tutte consegnate all’aura del barocco, di Jacopo Cestaro nella Chiesa dell’Immacolata di Fuscaldo: una serie deliziosa di cinque ovali ad olio, dedicati al tema della “Vita della Vergine”, che, eseguiti intorno al 1735, riassumono quel clima di revisione dei soggetti sacri alla luce del nascente razionalismo europeo. Una pittura, quella del Cestaro, che fa della purezza una risorsa innovativa; ed una “Santa Rosa” della Collezione Thyssen di Madrid ne mostra uno degli esiti migliori. Un pittore, invece, forte e immaginoso, che opera già nella seconda parte del ‘700, lasciando in Napoli, nel soffitto del Salone di Capodimonte, uno straordinario affresco dell’ “Apoteosi di Re Ferdinando e Carolina” fu Pietro Bardellino. E di lui abbiamo qui in Calabria, oltre a due recenti acquisizioni della Collezione Carime di Cosenza, un dipinto, nella Raccolta d’Arte del Santuario di Paola, che raffigura “S. Giovanni Nepomuceno”. Un’opera, come osserva il Direttore dei Musei Vaticani Pietro Amato, che ha un tocco delizioso e raffinato, ricco d’un cromatismo fresco, in cui affiora la rarefatta trasparenza d’un valido maestro come Corrado Giaquinto. Spostandoci più a sud, a Fiumefreddo Bruzio, incontriamo quindi tre artisti che chiudono in bellezza questa panoramica. Nella Chiesa di S. Chiara troviamo forse l’opera più bella ed importante del barocco napoletano sul Tirreno Cosentino: ed è la tela di “S. Nicola che salva il fanciullo coppiere” di Francesco Solimena: il caposcuola della nuova arte che dettò i canoni del barocco in tutte le corti d’Europa. Un dipinto, smagliante di colori, che libra le figure nel tipico volteggio turbinoso che denota i lavori del maestro: come accade nel “Massacro dei Giustiniani a Scio” del Museo di Capodimonte a Napoli. E d’un suo allievo di grandi qualità, come Francesco De Mura, che volse l’arte del maestro verso un maggiore equilibrio di forme, troviamo testimonianza nella Chiesa dell’Immacolata di Fiumefreddo Bruzio. Mentre, di nuovo nella Chiesa di S. Chiara, abbiamo un esempio ancora d’un artista raro del primo ‘700, Giuseppe Castellano, che riprende le maniere di Luca Giordano in un composto e morbido dipinto della “Madonna col Bambino e quattro santi”.
Un breve viaggio nella Pittura del Barocco Napoletano che abbiamo però l’agio di compiere qui da noi, nelle nostre chiese: basta solo andare in giro, armati di tenacia e di buona volontà, per conoscere infine quel che abbiamo ed ancora non sappiamo.

Radio1One
(Venerdì 13 Giugno 2008)

giovedì 12 giugno 2008

Uomini di Fede del Tirreno Cosentino

di Carlo Andreoli

Nei primi secoli dell’era cristiana, la Calabria divenne un caposaldo dell’evangelizzazione; e basterebbe a dimostrarlo il numero cospicuo di diocesi che presto si formarono. Nel seguito, questa radice cristiana tenne sempre più a rinvigorirsi; e fitta è la schiera degli uomini di chiesa che la Calabria maturò nel tempo, molti dei quali giunti proprio dal Tirreno Cosentino.
Intorno all’anno 1000, accanto a guide carismatiche della chiesa basiliana, come Nilo da Rossano, che allora frequentarono l’Eparchia del Mercurion, primeggia S. Ciriaco da Buonvicino. Nato nel villaggio di Trepidone, egli condusse prima una vita d’anacoreta. Ma presto divenne egumeno dell’Eparchia del Mercurion, prestando il sacerdozio nel Monastero di S. Maria dei Padri a Buonvicino; e la sua fama di santità si sparse ovunque. Fin che fu chiamato dall’Imperatore d’Oriente Michele IV il Paflagone per sanare sua figlia d’una grave malattia. Onorato da tutti, Ciriaco si spense circa l’anno 1030 e fu sepolto dentro la sua chiesa. Tra i primi seguaci di S. Francesco d’Assisi fu, invece, S. Daniele Fasanella, nato a Belvedere intorno al 1200. Divenuto Provinciale dell’Ordine dei Minori Francescani, assieme ad altri confratelli si spinse nel 1227 fino ai lidi del Marocco, per convertire alla fede cristiana i musulmani. Ma lì i Sette Martiri, come furono poi chiamati, subirono l’eccidio e furono sepolti a Ceuta. Di S. Francesco da Paola, vissuto lungo tutto il ‘400, è ben nota la vicenda personale che ne ha fatto una delle figure più eminenti della santità cristiana. Fondatore dell’Ordine dei Minimi, diffuso in tutta Europa, e taumaturgo di riconosciuta fama, trascorse l’ultima parte di sua vita in Francia, presso Tours, dove fu chiamato da Re Luigi XI. Il motto del suo Ordine, Carità, racchiude già il principio del suo insegnamento: vivere la fede compiendo opere di bene, per essere grati a Dio ed utili al nostro prossimo. Ma, oltre che di santi, la Chiesa si compone soprattutto d’uomini di fede che a varia titolo ne formano l’esempio militante. Così, nel secondo ‘500, visse a Cetraro Frate Albenzio de’ Rossi che, dopo una vita d’eremita in Calabria, fondò a Roma, presso Porta Angelica, un ospedale per i pellegrini che diede poi ricovero, fino all’800, a migliaia di diseredati. E di cui resta oggi memoria nella chiesa romana di S. Maria delle Grazie al Trionfale. Mentre, nella seconda parte del ‘600, visse il Beato Nicola Saggio da Longobardi che, figlio di contadini, divenne oblato professo dell’Ordine dei Minimi; acquistando fama in Roma, presso il Convento di S. Francesco di Paola ai Monti, di benefattore e mistico. Tanto che il Superiore, per moderare gli eccessi della sua popolarità, fu costretto a rimandarlo in Calabria; dove fu portinaio nel Santuario di Paola. A cavallo tra ‘600 e ‘700, sta invece Giuseppe Maria Perrimezzi, di Paola, che unì sempre al suo magistero di vescovo una spiccata propensione per la cultura sacra; il cui frutto furono libri di rara eleganza e l’istituzione, nel Vescovado d’Oppido, d’un’Accademia di Lettere le cui dissertazioni egli raccolse nei volumi “Delle decisioni accademiche”. Nel panorama variegato dell’Ottocento, emergono infine due figure singolari, provenienti entrambe da Fuscaldo. Il padre domenicano Girolamo Gigli non solo fu teologo di chiara fama che resse pure lo Studio di Bologna promuovendo l’armonia di teologia e filosofia, quanto passò agli onori della cronaca per essere stato colui che assolse il filosofo Rosmini dall’accusa d’eresia. Mentre padre Francesco Maria Vaccari fu partecipe, a fianco di S. Vincenzo Pallotti, dell’istituzione a Roma dell’Ordine dei Padri Pallottini: un ordine moderno che si propose d’innovare l’impegno della Chiesa nella società.
Mancano ancora molti a questo elenco sommario; ma già basta a capire il contributo che la nostra terra ha dato, nel tempo, alla Chiesa: un contributo solido e continuo di fede ed operosità.


Radio1One
(Venerdì 6 Giugno 2008)

martedì 10 giugno 2008

Nel territorio d’Acquappesa

di Carlo Andreoli


Dalla strada costiera del Tirreno Cosentino l’abitato d’Acquappesa è a portata di mano. Basta prendere lo svincolo e risalire due tornanti; per ritrovarsi già alle soglie dell’antico borgo che conserva il nome vecchio di Casale. Sulla destra del corso cittadino si fa notare subito un palazzo dal fronte pretenzioso che ha uno stile vago di liberty italiano. E’ la sede del Centro Filosofico Karl Apel: intitolato al grande filosofo tedesco che vi è stato ospite più volte ed a cui è dedicato un premio di studi filosofici. Nell’interno una vasta biblioteca, ritratti di filosofi ed una lapide muraria che ricorda come già in passato quella sala sia stata luogo di studi e apprendimento. Subito dopo s’incontra l’edificio, da poco restaurato, della Libera Università Popolare: un’associazione culturale che organizza vari eventi; fra cui un premio nazionale di pittura dedicato a Nicola Carrozzino: per molti anni sindaco, maestro e giornalista. Per salire verso l’alto, si passa poi nel cuore d’una piazza moderna in piloni d’acciaio, dove gruppi di ragazzi si danno appuntamento. Piazza che risulta essere come l’unico lavoro calabrese di Massimiliano Fuksas: nome di punta dell’architettura europea. Sulla piattaforma sovrastante si gode un panorama superbo della costa tirrenica; mentre una cortina d’edifici, tra cui un palazzotto con decorazioni art-nouveau, racchiude lo spazio circostante d’una quinta pittoresca. Incamminandosi per la via di mezzo che taglia l’abitato, s’affrontano case quiete con balconi, scalinate e sottopassi; e qualche edificio antico, come il Palazzo Gentile, che si fregia d’un bel portale a conci di diamante. Fino a giungere alla Chiesa del Rifugio che balza le sue torri campanarie ai lati d’un prospetto aperto e chiaro in cui s’apre un portale barocco sormontato da una lapide che ne rammemora il restauro. Nell’interno, l’occhio è attirato in fondo da uno stupendo coro, in legno di noce filettato d’oro, che circonda di morbido riflesso il presbiterio: opera dei Lattaro di Fuscaldo. Mentre, con bizzara soluzione, un confessionale snello porta in sommità un pulpito elegante con riquadri d’oro: lavoro di Luigi Ruffo del 1879. Bella pure la cantoria, dal profilo bombato sorvegliato da angeli ridenti, che conserva nel suo mezzo un organo positivo a tre scomparti. Proseguendo per la strada del paese, tra orti e case abbandonate che sanno di passato, si giunge sui tornanti a serpentina della statale vecchia; che mostra come l’ingegneria d’un tempo sapesse farsi arte. Per arrivare, quindi, a Intavolata: vittima, invece, dell’ingegneria moderna che ha tagliato in due un abitato dove vivono oggi poche anime attorno alla Chiesa di Santa Teresa: lavoro compito e lindo di Luigi Consale, del 1855. Patria di Luigi De Seta, che fu uomo di governo nell’Italia di Giolitti, Intavolata conserva in malo modo il vasto e interessante palazzo dei De Seta e poco fa per onorare la memoria di Cesare Baccelli, valido scultore che vi trascorse anni di feconda attività. Varcata la galleria del Palmentello, s’apre lo scenario marinaro dello Scoglio della Regina, quasi un’icona di questo tratto di riviera; che immette, nell’interno, nel complesso delle Terme Luigiane di così remota origine d’esser citate pure in una lettera di S. Francesco di Paola. Viali alberati, alberghi, ristoranti e caffè fanno di questo luogo un centro estivo d’accoglienza privilegiato; cui s’unisce il fascino d’un’architettura démodé, riscontrabile nello stile funzionale delle Terme Vecchie o nel quartiere delizioso dei Villini Belvedere. E mentre l’Acquaiola di Giuseppe Rito continua a versare acqua dal suo orcio nella fontana di piazza, un senso di frescura ci rimane anche negli occhi e nelle orecchie: che è forse la promessa d’un ritorno.


Radio1One
(Venerdì 30 Maggio 2008)