venerdì 30 novembre 2007

INTERVISTA A MARTIN RAHMLOW, VINCITORE DEL PREMIO SIMONA GESMUNDO CORTI D’ANIMAZIONE 2007 PER LA SEZIONE “DIGITALE”

di Francesca Villani

Hai preso ispirazione da qualcosa o qualcuno per il tuo film?
Il titolo “Anguille” è ispirato a una scena del romanzo di Gunther Grass, “Il tamburo di latta”, in cui alcuni uomini pescano anguille con una testa di cavallo mozzata. La conversazione tra il Viaggiatore e la Guerra, in uno sfondo surreale e angosciante, ricorda in qualche modo la Divina Commedia, direi. Il modello del personaggio del Viaggiatore si ispira alle sculture di Giacometti e per il paesaggio martoriato dalle bombe ho guardato le fotografie e i disegni di Otto Dix sulla Prima Guerra Mondiale.

Il film ha richiesto una lavorazione di quasi quattro anni, dall’idea iniziale al prodotto finito. Perché?
Intanto è un film in 3D che dura ben 17 minuti con 5 personaggi e cinque ambienti diversi. Prova a realizzarlo in minor tempo! Scherzo, ovviamente, ma bisogna ricordare che si tratta del lavoro di uno studente: non si ha a disposizione una filiera di produzione come in un vero studio di animazione; e si impara mentre si crea, si fanno errori, ed è necessario tornare indietro due o tre volte per correggerli.

Chi è “il viaggiatore”?
Sei tu. Potrebbe essere chiunque, perché tutti sono alla ricerca della fortuna.

Dedicarti all’animazione è stata per te una scelta, una passione, un lavoro o ci sei entrato per caso?
E’ stata una punizione! Ma ho sempre amato disegnare e adoro le storie, perciò l’animazione sembra una buona scelta nel mio caso.

Quali sono le tue radici culturali?
Sono nato e cresciuto a Kiel, sul Mar Baltico, una regione ricca di storia e di cultura. Qui ci sono le meravigliose città della storica Lega Anseatica e dei paesaggi spettacolari.

L’animazione digitale è secondo te una questione di tecnologia oppure è un’arte?
E’ piuttosto uno strumento, come una matita. Ma oggi viene ancora usato in una maniera piuttosto tradizionale, conservatrice. Niente di male, certo, ma credo che in futuro ci sarà spazio per approcci più originali e indipendenti.

Il tuo film è molto romantico, nel senso letterario del termine. Sei d’accordo con questa opinione?
Sì e no. Dipende dalla tua prospettiva. Se lo guardi con gli occhi della Guerra, per esempio, sarebbe meglio definirlo patetico.

Qual è il messaggio del film, se c’è?
Potrei rispondere a questa domanda con una sola parola oppure con pagine intere. Mi sembra più giusto lasciare la cosa all’interpretazione individuale.

A cosa stai lavorando adesso? Hai nuovi progetti nel campo dell’animazione oppure il tuo film è stato semplicemente un gradino verso qualcos’altro?
Al momento sto lavorando all’Università di Volda, in Norvegia, come insegnante di Maya (software per la modellazione, l'animazione, gli effetti e il rendering 3D, n.d.r.). E ho appena iniziato a scrivere la sceneggiatura per un nuovo cortometraggio.

Come ti immagini il futuro del cinema d’animazione? Che rilevanza ha nel tuo paese? E’popolare tra i giovani?
Mi chiedo se i grandi studi di produzione statunitensi continueranno a produrre film di intrattenimento per famiglie, storie con personaggi di peluche che devono imparare ad accettarsi l’un l’altro, oppure se nel futuro si tenterà di fare dell’altro. In Germania il cinema d’animazione ha una rilevanza solo in relazione all’intrattenimento spettacolo per bambini.

INTERVISTA A IRINA LITMANOVICH, VINCITRICE DEL PREMIO SIMONA GESMUNDO CORTI D’ANIMAZIONE 2007 PER LA SEZIONE “DISEGNO ANIMATO”

di Francesca Villani

1. Hai preso ispirazione da qualcosa o qualcuno per il tuo film?
Quando cominciai a studiare animazione al Corso Superiore per registi e sceneggiatori a Mosca, dovetti scegliere una storia per il mio futuro film di diploma. Avevo alcune idee, ma la mia passione più forte fu di scrivere un film basato su una storia ebraica, dove avevo vissuto in passato. Andai in biblioteca a cercare del materiale. Lessi diverse favole ebraiche; poi incontrai un responsabile della biblioteca e gli parlai del mio lavoro. Lui mi mostrò questa poesia. Voleva pubblicarla in un libro sui sette saggi di Khelom. La lessi e decisi che questa sarebbe stata il mio film.

2. Ci parli del processo di lavorazione del tuo film, dall’idea iniziale al prodotto finito?
E’ un processo lungo, difficile e doloroso. Ogni film inizia con un’idea o con un sentimento che porta alla realizzazione di questa idea. Da un’immagine o due che si hanno molto chiare in mente. Come un paesaggio che si vede attraverso una finestra della casa che stai visitando per la prima volta. Quando ho letto questa poesia per la prima volta ho “visto” questi sette vecchi seduti in una piccola stanza buia a pensare a cose molto semplici. Li ho visti andare al collegio. Uomini diversi, ognuno con il proprio fato e la propria vita, che cercano di decidere al posto di altri che non sanno cosa fare. Come dubitano, discutono e trovano l’accordo. E infine giungono alla decisione. Felici di averlo fatto. Come me, in diverse fasi della vita.
Ho scritto la sceneggiatura di questa poesia, che è andata cambiando durante tutta la stesura del film. Ma alcuni dettagli sono rimasti – come il topolino che salta fuori dall’orologio.
I personaggi sono diventati figure vive e vicine a me. Ho cominciato a disegnarli in situazioni, pose ed espressioni diverse. Ho fatto diversi schizzi del villaggio di Khelom. Delle persone che ci vivevano. Con il mio insegnante abbiamo sviluppato i loro movimenti, le posture, le emozioni. Contemporaneamente lavoravo allo storyboard del film. Ho cercato di trovare la struttura del film: il ritmo, i tempi e il contenuto di ciascuna scena. Dopo aver completato la prima parte –lo storyboard del primo collegio, allora il film cominciò a esistere di vita propria.
Insieme al disegno e allo storyboard bisognava anche pensare alla tecnica e alla parte musicale del film. Come rendere questi personaggi maneggiabili, vivi come nei bozzetti – in molti casi i personaggi animati ed il loro mondo perdono la loro attrattiva via via che il film viene realizzato. In questa fase ho sfruttato i consigli di Y.B.Norshtein, di cui avevo scelto la tecnica delle carte ritagliate per il mio film. Egli mi spiegò il materiale da usare per costruire i personaggi, che pittura usare per lo sfondo – dettagli che sono veramente importanti per utilizzare questa tecnica. Quando ho iniziato a girare, Igor’ Skidan-Bosin – fantastico cameraman – ha contribuito con la luce e l’atmosfera giusta. E’ stata una vera fortuna lavorare con maestri di questo livello.
Per quanto riguarda la musica, abbiamo lavorato assieme io e mio padre, che vive in un’altra città (Voronezh). Gli ho mostrato la poesia e lui ha subito composto le musiche. E’ una cosa fantastica – lui può aprire un libro di poesie e suonare, come fosse musica scritta. Ogni volta che c’era qualche scena nuova, mi chiamava per farmela ascoltare per telefono. La musica è cambiata insieme al film. La versione finale alla fine delle riprese era molto diversa rispetto all’inizio.
E dunque, è un processo molto complicato, che dipende dal materiale che viene scelto per il film. Ma sicuramente tutto comincia dal sentire un’idea, che si sviluppa poi in una sceneggiatura e uno storyboard che contiene tutto il mondo del film con i suoi suoni e la sua musica.

3. Il tuo cortometraggio si basa su una poesia russa in Yiddish, ma si legge anche come una favola per bambini. Cosa ti ha affascinato particolarmente nello scegliere questo soggetto?
E’ proprio così: da un lato si tratta di una storia semplice, che ogni bambino può capire, dall’altro riguarda anche gli adulti. Per i bambini molte cose sembrano chiare perché essi credono a cose impossibili, a differenza degli adulti. Ecco perché i bambini amano i cartoni animati: un’altra realtà è migliore della vita quotidiana. Nel mio film ho cercato di rendere il mondo interessante per tutti. Non dipende solo dalla storia , ma anche da una scelta artistica. Sarebbe stato possibile disegnare in maniera più semplice, come sono fatti molti cartoni animati, ma per me non sarebbe stato interessante. Nel cinema d’animazione è possibile creare un mondo che è metafora della vita reale. E’ poesia da guardare ed ascoltare. In questa storia, le persone hanno sempre qualche sorta di problema. E vanno in cerca di aiuto da altri uomini, più saggi. Ma anche i saggi sono uomini e possono perdere la pazienza. E’ come un circolo vizioso – appena si trova la soluzione ad un problema, ne viene subito un altro. La storia mi è sembrata l’ideale metafora dei casi della vita. E’ ben noto che un autore può rispecchiare la propria vita e il proprio approccio ad essa nel suo lavoro. Se questo approccio trova risposta in altre persone, si può dire di essere fortunati.

4. Dedicarti all’animazione è stata per te una scelta, una passione, un lavoro o ci sei entrato per caso?
Quando ero a scuola, c’era l’usanza di far compilare dei questionari agli alunni. Era sempre presente la domanda: quale professione vorresti fare da grande? Io scrivevo sempre due cose: artista d’animazione o stilista. Quest’ultima, per accontentare mia madre. Ricordo una mostra a Voronezh – la città in cui ho vissuto per 14 anni e in cui ho finito la scuola. Lo studio di Mosca “Souzmultfilm” esponeva diverse immagini, sfondi e personaggi dei miei film preferiti. Uno era “Vinnie the Pooh” di F.Khitruk .Chi avrebbe immaginato che sarebbe stato uno dei miei maestri! Stentavo a credere che questi personaggi fossero di carta o di celluloide. Per me erano vivi. Fu uno shock. Così cominciai a pensare che anch’io avrei potuto disegnarli. Capii immediatamente come poter realizzare un film. Specialmente quando la tv cominciò a mandare in onda i cartoni Disney tradotti in russo.
Poi me ne dimenticai per alcuni anni. Volevo fare la pittrice. Andai a Gerusalemme, feci recitazione in un teatro e studiai all’accademia d’arte per due anni . Al terzo anno dovetti scegliere la specializzazione per il biennio successivo. E scelsi animazione. Mi sono diplomata con il film “La lettera” basato su una novella di Daniel Kharms. Lo mandai al festival internazionale di “Krok”, che si tiene su un battello a vapore. Fui invitata a partecipare per Israele: lì conobbi tutti i maestri dell’animazione russa e decisi che sarei tornata a Mosca per studiare lì in questo settore. Quindi, in parte è stata una scelta, in parte un caso. Penso che in ogni mestiere, quando lo si ama, questi ingredienti –passione, scelta e caso- funzionino insieme.


5. Quali sono le tue radici culturali come regista d’animazione?

Tutto gioca un ruolo nella formazione professionale di una persona: la gente che si incontra, il paese in cui si vive, gli amici, i libri, i film, gli spettacoli, la musica – tutto ciò che entra nella sfera della percezione e della comprensione.
Posso sicuramente dire si essere stata influenzata da personaggi importanti in diversi ambiti artistici. I film di Chaplin, Tarkowsky e Fellini sono molto significativi per me. Artisti - Rembrandt, Caravaggio, Degas e Monet, Pavel Fedotov. Scrittori – Bulgakov e Dostoevsky. Musicisti – Bach, Nino Rota e Chaplin. Nell’arte dell’animazione – Y.Norshtein. Ne potrei citare molti di più. La cosa principale per questi artisti e tirare fuori i sentimenti delle persone, trovando le immagini artistiche essenziali di eventi, di persone, di tempi. Questo per me è interessante nell’arte.
Tutto quello che so fare oggi lo devo alle persone che ho incontrato e ai miei genitori, che hanno dedicato molto tempo alla mia crescita e alla mia formazione sin dall’infanzia. Alla scuola d’arte di Voronezh avevo un’insegnante che si chiamava E.A. Petrova. Avevamo dodici anni quando cominciammo a studiare, ma lei ci trattava già da adulti. Perciò dovevamo comportarci bene: era una vergogna se disegnavamo male.
A.Zagorodnyh è artista e direttore di uno studio che frequentai finita la scuola. Ad una sua mostra vidi un piccolo acquerello intitolato “Horizontal” – mi piacque così tanto che avrei venduto il mio pianoforte (secondo me quello era l’oggetto più prezioso che avevamo in casa). Poi quando mi convinsi che non era possibile, mi accontentai di conoscere l’artista e cominciai a fare apprendistato nel suo studio. Prima della mia partenza per Israele, mi disse.” Ira, conosci tutte le mie opere. Voglio farti un regalo: scegline una! “ E io scelsi “Horizontal”.
In Israele ho incontrato tante persone meravigliose che mi hanno aiutato molto in questo nuovo paese – potrei scrivere tanto su di loro. Ho recitato per cinque anni al teatro “Mikro” di Gerusalemme. La direttrice di questo teatro, I. Gorelik, è la mia prima maestra di vita e nell’arte. Tutti gli anni in Israele sono stati in stretto contatto con le sue opinioni.
Durante i due anni del Corso Superiore per Registi a Mosca, ho parlato con molte persone, viste sino ad allora solo in televisione. F.S.Khitruk , Y.B.Norshtein e V.P.Kolesnikova mi hanno insegnato a realizzare film animati. V.P.Kolesnikova mi ha insegnato il movimento- il cuore dell’animazione. Senza di esso i personaggi non potrebbero muoversi sullo schermo. Quando le si chiede chi è l’animatore lei risponde “un attore che disegna”. In questo senso, la mia esperienza teatrale mi aiuta molto nella realizzazione dei film.
Parlare di “radici culturali come regista di animazione” è complesso perchè è una cosa globale. E’ come analizzare un cammino di vita. A me riesce di rendere un’idea più vera di questa analisi nelle mie opere.

6. L’animazione digitale è secondo te una questione di tecnologia oppure è un’arte?
L’animazione è un’ arte. “Digitale” significa semplicemente che si possono utilizzare mezzi digitali, come il computer o la telecamera. Sono soltanto degli strumenti che ti permettono di realizzare qualcosa.

7. Il tuo film è attraversato da un filo di ironia. Puoi spiegare il senso del ballo finale dei personaggi?
Il senso è che non sempre la gente riesce a trovare immediatamente la soluzione ad una situazione difficile. Anche il più saggio dei saggi. Ma quando si ha la gioia di vivere, è una festa e tutte le difficoltà sono dimenticate e smettono di esistere. Almeno temporaneamente. Le danze accompagnano ogni festeggiamento nella tradizione ebraica. E anche a me piace la danza.

8. Qual è il messaggio del film, se c’è?
Non ho voluto cercare alcun messaggio. Ho solo raccontato una delle storie della gente di Khelom.

9. A cosa stai lavorando adesso? Hai nuovi progetti nel campo dell’animazione oppure il tuo film è stato semplicemente un gradino verso qualcos’altro?
Sto lavorando a diversi progetti, relativi all’animazione e non solo. Disegno, creo animazione per i film degli altri. Non molto tempo fa ho cominciato ad insegnare animazione ai bambini.
Ho delle idee che mi piacerebbe realizzare. Una è un film basato sui miei ricordi di infanzia e sui racconti dei miei genitori. Vari avvenimenti divertenti accaduti dall’età di tre anni e ho vissuto prima a Leningrado, poi a Rostov sul Don e Voronezh. Una delle cose più importanti da ritrarre in un film sarà anche la vita a Gerusalemme, e più tardi a Mosca. Mi piacerebbe catturare il tempo, e me dentro di esso, dove ho vissuto e vivo ora, le persone che incontro e a cui trasmetto la poesia di questi luoghi – dei “Life Sketches”.
Un’ altra idea è basata sulle favole e i racconti sui sette saggi di Khelom. Non sarà la continuazione del film precedente, ma piuttosto l’evoluzione degli stati d’animo dei saggi in varie situazioni, divertenti, tristi, commuoventi in cui si trovano. E dopo il mio viaggio a Roma, vorrei ambientare lì una storia sui sette saggi. Sono rimasta molto colpita dal Ghetto e dalla sua atmosfera. Sarebbe interessante collocare questi sette vecchi ebrei al tempo dell’Impero Romano e sviluppare un viaggio nel tempo e nei diversi luoghi del mondo.
E ancora, c’è una storia di I. B. Singer. Un film che riguarda la vita che continua dopo la morte, perché i nostri cari sono sempre vicini quando ne abbiamo bisogno.
Infine l’idea di girare un film ispirato a un racconto di I.L Peretz. Si tratta di una parabola, basata su una storia fantastica, di una capra che riusciva a catturare le stelle con le corna. Mi interessa capire qual è la vera causa della felicità per gli esseri umani.
E’ molto difficile trovare i finanziamenti ai propri progetti. Per ora sto sviluppando queste idee in casa. Certo mi piacerebbe girare i miei film senza dover dipendere da un altro studio di animazione a Mosca, ma questo significa avere un produttore ed uno studio personale.

10. Come ti immagini il futuro del cinema d’animazione? Che rilevanza ha nel tuo paese? E’popolare tra i giovani?
Fino all’inizio degli anni ’90 in Russia (ex Unione Sovietica), c’erano finanziamenti pubblici per il cinema d’animazione. Questo significava doversi solo concentrare sugli aspetti creativi. Per questo motivo, fu fondata una grossa scuola d’animazione , lo studio “Souzmultfilm”, che sfornava 36-40 film l’anno. Inoltre, i finanziamenti arrivavano indipendentemente dal successo economico, perciò tutti questi film erano fruibili comunque, e diversi per tecnica e stile. I.P.Ivanov-Vano, R.A.Kachanov, F.S.Khitruk, Y.B.Norshtein, E.V.Nazarov, A.Y.Khrzhanovsky, G.Y.Bardin, V.M.Ugarov- molte generazioni di bambini sono cresciute con i film di questi maestri e molte generazioni di studenti hanno appreso da loro.
Oggi molti registi realizzano film o intere serie coperte da una distribuzione per il cinema e la televisione. L’interrogativo fondamentale è quanto spettacolari riusciranno ad essere e come saranno recepiti da un grande pubblico. Il finanziamento statale è limitato. I cortometraggi d’autore non hanno potenzialità commerciali e non interessano ai distributori. Questo è il motivo per cui i registi indipendenti devono attendere a lungo i finanziamenti statali o trovarsi un produttore. Non è facile convincere chi ha i soldi a investire nel tuo prodotto, senza sapere quale profitto ne trarrà.
I nuovi film animati d’autore trovano spazio nei festival, in programmi specializzati, in alcuni cinema o in internet - http://vision.rambler.ru/cartoons/.
C’è un sito che contiene tutte le informazioni sul cinema d’animazione russo: registi, sceneggiatori, artisti, disegnatori, attori, film : - http://www.animator.ru/db/?ver=eng
Ci sono alcuni studi a Mosca che lavorano molto, per esempio il “Pilot” Studio. Producono la serie intitolata “La montagna delle gemme”, basata sulle favole di diverse nazioni sovietiche- http://www.pilot-film.com/
(questo sito è solo in russo).
Lo Studio “Metronom” ha appena ultimato un ciclo di cortometraggi basato sulle ninne nanne. Il titolo è “Ninne nanne dal mondo” - http://www.lull.ru/eng/index.html

11. Dopo la cerimonia del premio, ti sei concessa una “vacanza romana”. Quali sono state le tue impressioni dell’Italia?
Ho sempre sognato di venire in Italia,ed è stato un grande evento per me. Quando sono arrivata in piena notte a Cetraro, l’albergo mi è sembrato una reggia. La mattina dopo, uscendo all’aperto, ho visto il paradiso terrestre –piante di ulivo e mandarino al mare fanno questa impressione. Probabilmente Adamo ed Eva si trovavano in un posto simile.
Mi piace molto il colore marrone, e la prima coincidenza a Roma è stata trovare quelle tonalità del marrone e dell’ocra che mi hanno fatto immediatamente sentire a mio agio. Tutte le cose che ho letto e studiato alla scuola d’arte e poi all’Accademia le ho apprese solo attraverso le immagini, la letteratura, le favole- qualcosa che sembrava molto lontano e non verosimile. Ma qui ho subito capito che tutto ciò è realmente accaduto molti secoli prima del Cristianesimo e che ancora è lì. E il Cristianesimo è in fondo solo una fase della storia dell’umanità.
Michelangelo. Ho visto Mosè, e la cappella Sistina. E’ stato impressionante pensare alle migliaia di persone che passano per questo luogo e restano per ore con la testa all’insù. Persone da tutte le parti del mondo che trascorrono ore in fila. Il Giudizio universale, e la Pietà in San Pietro.
Caravaggio mi ha anche molto colpito, anche se ho visto solo una piccola parte delle sue opere.
Gli italiani, poi, sono gente meravigliosa. Ero in autobus e non sapevo a quale fermata scendere. Gli altri passeggeri hanno iniziato a consultarsi ad alta voce, finchè uno ha alzato la mano, e mi ha dato l’informazione esatta.
Sono stata al museo Barberini e Doria Pamphili. Ma soprattutto ho camminato in giro per la città senza riuscire a fermarmi. Una volta ritornata a Mosca, ho continuato a passeggiare per Roma nei miei sogni, ma mi sono svegliata perché non sono riuscita a raggiungere via Margutta: non esiste una strada con questo nome nella mia città.

mercoledì 28 novembre 2007

Il film sulla madre di San Francesco di Paola proiettato a Roggiano Gravina

Il primo lungometraggio realizzato sulla vita di San Francesco di Paola sarà proiettato giovedì 29 novembre 2007 alle 19 e 30 al Cinema Teatro Italia di Roggiano Gravina. L'evento è organizzato dal laboratorio Artés di Tiziana Prezio e patrocinato dal Comune di Roggiano Gravina e dalla Parrocchia San Pietro Apostolo.

Girato nella scorsa primavera a Fuscaldo, una piccola cittadina della costa tirrenica calabrese, il film "Vienna da Fuscaldo, la madre di San Francesco di Paola" ha già riscosso un grande successo di pubblico.

Il film si è imposto all’attenzione di tutti con la forza di immagini che parlano dritto al cuore delle persone. Un ritorno al cinema popolare di qualità, che l’Italia ha saputo inventare e poi dimenticare per decenni. Per la Calabria, un vero e proprio caso cinematografico.

La vicenda narrata è imperniata sugli anni di formazione di Francesco di Paola, uno dei santi più venerati in Italia e nel mondo, e sul ruolo determinante di sua madre, Vienna. Essendo ambientato nei primi anni del ‘400, il film ha richiesto un grande sforzo di ricostruzione storica. Costumi, arredi, paesaggi, ma ancor più le emozioni e i sentimenti di un’epoca: la sfida più grande è stata di restituire la verità di gesti, sguardi e parole che avrebbero potuto apparire lontani se non fossero stato mediati dalla semplicità e da un senso di profonda commozione che pervade tutto il film.

Chi si aspetta un film religioso in senso stretto, magari una riedizione delle melense fiction propinate dalla TV negli ultimi anni, rimarrà sorpreso dalla assoluta indipendenza di quest’opera da canoni e stereotipi: la madre che vediamo non si propone come personaggio, come modello. I suoi dubbi, il suo dolore e la sua forza sono quelli di una donna vera: ed è questa verità che regala a suo figlio. Anche il tema religioso è affrontato in modo del tutto originale: i genitori di Francesco vivono in una dura, ancorché limpida, lotta “nella religione” in un’epoca oscura e piena di minacce, ma è con i loro giorni e i loro gesti che costruiscono un senso del sacro scandalosamente tangibile.

Il regista Fabio Marra, pur trovandosi ad affrontare il suo primo lungometraggio, ha dimostrato di saper raccontare e avvincere: ma è soprattutto nella scelta delle inquadrature e nella splendida fotografia che il film trova la sua cifra. Una successione di quadri che, con tagli e colori caravaggeschi, riportano il cinema alla suo ventre naturale: la pittura.

Ottanta minuti di incanto, resi vivi e vibranti dalla giovane protagonista: con un viso senza età e con voce e gesti di profonda gentilezza, Paola Scirchio regala a Vienna un’anima. Sono emozioni vere quelle proposte allo spettatore, e sono vere e profonde le emozioni che egli stesso prova.

Un’opera davvero corale, cui contribuiscono in maniera determinante la splendida colonna sonora e l’emozionata partecipazione di tutti gli interpreti, comparse incluse. Durante le riprese, una vera e propria mobilitazione popolare ha trasformato l’intera cittadina di Fuscaldo in un set e, come raccontano i produttori: “si respirava un’atmosfera di rinascita e di voglia di dare che ha regalato al film la stessa forza del primo neorealismo”.

“Vienna da Fuscaldo” è il primo lungometraggio prodotto dalla Quadra Film. Carmelo Ramundo, Fabio Marra, Raffaele del Monaco e Arturo Barbuto hanno ideato questo progetto con l’intento di esprimere al meglio le proprie individualità artistiche e dimostrare la forza creativa che ribolle nel profondo Sud dell’Italia.

venerdì 23 novembre 2007

Il fiore d’ogni dove nel mondo

Di Marta Perrotta



Cetraro nella lista stilata dall’organizzazione della “Giornata mondiale del cinema d’animazione”. Con la terza edizione della rassegna cinematografica “I fiori d’ogni dove”, il nome della cittadina tirrenica – l’unico per l’Italia – è comparso ufficialmente accanto a quello delle grandi capitali del mondo, dei grandi centri culturali di ogni continente, per l’iniziativa di promozione di quello che un tempo era un prodotto dedicato ai più piccini mentre oggi si va via via accreditando come nuova forma d’espressione artistica, il disegno animato.
L’iniziativa, lanciata nel 2005 da Matilde Tortora, docente presso il Dams di Cosenza e messa in piedi grazie agli sforzi organizzativi del laboratorio “Giovanni Losardo” – guidato da Gaetano Bencivinni – ha fin da subito avuto il patrocinio, tra gli altri, della sezione cinema dell’Unesco. L’edizione 2007 è stata particolarmente ricca di partecipanti che hanno inviato alla commissione internazionale decine di lavori provenienti da tutto il mondo. I primi premi delle due sezioni, quella “disegno animato” e quella dedicata al “disegno digitale”, sono andate a giovani stranieri. Il primo a una giovane di nazionalità russa, Irina Litmanovich, «per l'eccellente uso della tecnica delle carte ritagliate, per la dolcezza e l'ironia con cui la giovane regista affronta il tema della memoria e delle radici» mentre il secondo è stato assegnato al tedesco Martin Rahmlow perché «l'autore riversa tutta la passione e la sua tecnica in ogni singolo fotogramma del film, fino ai titoli. Il risultato è un animazione di grande livello, con suggestioni "dantesche", e un messaggio di amore e speranza». (uscito su “Gazzetta del sud” del 14 novembre 2007)

venerdì 9 novembre 2007

Il dono che ci ha fatto Simona del cinema d’animazione

di Matilde Tortora

Una giovane donna aveva visto nel giusto quando nel 2002 per la prima volta fu istituito e assegnato il Premio Oscar per il cinema d’animazione, Ella considerò questo evento come il risanamento di un’ingiustizia e il riconoscimento di una grandezza, quella appunto del cinema d’animazione, per tanti versi misconosciuto pur se, fin da subito ne era emersa la bellezza, la sua importanza, il suo fascino universale, tanto è vero che per il primo lungometraggio d’animazione, Biancaneve e i sette nani di Walt Disney, l’anno stesso della sua realizzazione, gli fu attribuito alla Mostra del Cinema di Venezia un Premio creato appositamente per questo capolavoro.
Questa giovane donna, Simona Gesmundo, che era una studiosa tra i primi e i pochissimi in Italia d’intelligenza artificiale applicata al cinema, gli esiti del cui lavoro avevano già acquistato fama europea, venuta tanto prematuramente a mancare nel 2005, ci ha lasciato una preziosa eredità che l’Associazione che porta il suo nome e il Laboratorio Giovanno Losardo di Cetraro presieduto dal Prof. Gaetano Bencivinni, con l’istituzione del Premio Simona Gesmundo Corti d’Animazione, ha non solo raccolto, ma anche fatta fruttificare in così pur breve tempo.
Quando infatti tre anni fa demmo avvìo alla rassegna di cinema Il Fiore di ogni dove, mai avremmo creduto che per davvero, in così breve tempo, grazie al Premio Simona Gesmundo Corti d’animazione, da ogni parte del mondo ci giungessero film di tale bellezza e spessore e in tale numero, che ci attestano quanto Ella avesse visto giusto e colto nel segno.
“E noi che la felicità la pensiamo in ascesa, ci accorgiamo oggi di una cosa felice che cade: l’attenzione” - sono versi del poeta Rilke tratti dalle Elegie Duinese che ci erano, fino a stasera, sempre stati difficili da comprendere e che solo in questo momento comprendiamo nel pieno del loro significato, perché quel che qui stasera si realizza, cioè gli esiti dell’attenzione costante, mirata che noi stiamo rivolgendo da tre anni a questa parte ai giovani autori dei film d’animazione più intensi, più nuovi, più significativi di varie parti del mondo, ci rende oggi felici; quel che il giovane Rilke sperimentò nel castello di Duino e che lo connetteva al mondo intero, noi dunque lo stiamo sperimentando qui a Cetraro, essendoci messi, grazie all’intuizione, all’operato in questo campo e alla passione di Simona, in connessione davvero col resto del mondo.
Quest’accostamento dei versi di una poesia ad un evento di cinema non è del tutto casuale, poiché quando un film, l’opera di un regista merita attenzione, allora vuol dire anche che in qualche misura questo film contiene ed è contrassegnato anche da poeticità poiché tutto di noi riesce a dire.
Certamente il cinema è anche tanto altro, in special modo lo è il cinema d’animazione che è un esperanto, un’arte davvero unica che si destina a tutti, anzi è la più democratica delle arti non avendo bisogno delle parole e della barriera delle diverse lingue ed è anche, cosa che non è a tutti nota, antecedente addirittura al cinema dei Lumière, nato ancora prima del cinema, con le proiezioni che Emile Reynaud tenne col suo Theâtre Optique al Museo Grevin a Parigi nel 1892; addirittura prima che l’uomo imparasse a volare, ci fu infatti chi riuscì a dotare le immagini di una quarta dimensione, consentendo per la prima volta che un disegno in movimento fosse in grado di esprimere delle storie e un racconto. Quanto alla peculiarità e, per certi aspetti, superiorità del cinema d’animazione, voglio ricordare quanto è scritto nell’introduzione dello statuto dell’ASIFA, ovvero dell’Association Internazionale du Film d’Animation: “Il cinema “dal vero” procede con un’analisi meccanica, per mezzo della fotografia, di avvenimenti simili a quelli che saranno resi sullo schermo, mentre il cinema d’animazione crea gli avvenimenti per mezzo di strumenti diversi dalla registrazione automatica. In un film d’animazione gli avvenimenti hanno luogo per la prima volta sullo schermo”. Il che, come scrive Giannalberto Bendazzi nel suo celeberrimo Il Cinema d’Animazione, vuol anche dire che “al contrario del cinema “dal vero”, la materia prima nella quale l’animazione attinge gli elementi della sua opera futura si compone unicamente delle idee umane, di idee che i diversi uomini si fanno delle cose, degli esseri viventi, delle loro forme, dei loro movimenti, del loro significato. Essi rappresentano queste idee attraverso delle immagini fatte con le loro mani”.
E noi di questo ne abbiamo avuto anche quest’anno piena conferma da queste opere giunte da ogni parte del mondo a partecipare al Premio che porta il nome di Simona, da lei avendo avuto l’intuito e l’input di quanto sia importante dare attenzione al cinema d’animazione il quale oggi è il cinema più complesso e innovativo che si fa nel mondo, grazie all’applicazione di sistemi sofisticati, di programmi nuovissimi e d’applicazione d’intelligenza artificiale.
Come vedremo stasera nei corti selezionati e nei corti vincitori dei valentissimi giovani autori che hanno partecipato al Premio, il cinema d’animazione è un cinema che sperimenta, che crea, è dunque un cinema necessario e che ci immette con sapienza nel futuro che avanza: da Mosca è giunta la vincitrice, la regista Irina Litmanovich, con il suo film Khelom’s Customs, bellissimo per sapienza tecnica e intensità del racconto, a lei ispirato da un racconto in yddish del poeta Ovsei Driz, che le ha consentito di dare attenzione alla memoria del passato e alle proprie radici culturali e di realizzare un film caravaggesco per l’uso dei colori e della luce, un film come dicevamo necessario e colmo di poesia, fatto con la tecnica delle carte ritagliate e i disegni animati. L’altro film, vincitore per la sezione animazione in digitale, è Aal im Schadel del regista tedesco Martin Rahmlow, un film costruito con programmi sofisticati e un animazione di grande livello, che racconta con suggestioni dantesche del viaggio di un giovane alla ricerca del proprio risanamento; due sono state le menzioni speciali, attribuite al film God on our side di Michal Pfeffer & Uri Kranot per la pietas, l’incisività (e gli esiti artistici conseguiti) con cui gli autori trattano il tema del conflitto israeliano - palestinese in questo film a disegni animati per i quali si sono ispirati a Guernica di Picasso, per dirci il male, la violenza di conflitti che a tutt’oggi continuano a vedere coinvolte come vittime anche i bambini e il loro futuro, e al film Facciamo grande la TV dei piccoli di Sergio Manfio, per l’elevato valore culturale e sociale e l’alta qualità di realizzazione di questo breve film d’animazione indirizzato in special modo agli adulti, che ci fa riflettere su come dovrebbe essere e che cosa dovrebbe offrire una tv a misura di bambino.
Sono inoltre presenti qui stasera eminenti personalità, l’artista ungherese Anna Kiss membro della Giuria giunta per noi appositamente da Budapest, Monsieur Robert Kalman membro del Comitato Esecutivo dell’UNESCO e quest’anno Presidente della Giuria giunto da Parigi, che nel suo discorso ha tra l’altro stasera voluto ricordare che Il Fiore di ogni dove - Premio Simona Gesmundo Corti d’Animazione con il suo dare attenzione ai film di giovani autori di diversi Paesi del mondo che siano in grado di dire coi loro film l’importanza delle radici, della memoria ma anche di indicare coi loro film traiettorie per il presente e per la costruzione delle identità del futuro, è tanto in sintonia con l’operato e gli obiettivi perseguiti dall’UNESCO da averci fatto ottenere il loro Patrocinio e in tal modo essi hanno anche avuto modo di apprendere dell’esistenza della città di Cetraro. Come si può vedere poi dalla nostra bellissima brochure, abbiamo avuto anche un altro importante Patrocinio, quello dell’ASIFA, essendo inoltre quest’anno il Premio Simona Gesmundo Corti d’Animazione uno dei soli tre in Italia a essere stati inseriti nella Giornata Mondiale del Cinema d’animazione e, se è vero che questo evento ci lancia nel futuro più operoso e fervido, ci riconnette anche alle origini stesse di quest’arte che Simona ci ha fatto scoprire, poiché l’immagine di Emile Reynaud che è nella nostra brochure e di cui siamo stati autorizzati a fruire, è stata disegnata dall’artista portoghese Abi Feijo, noto autore di corti d’animazione e past President dell’ASIFA proprio per la Giornata Mondiale del Cinema d’Animazione 2007 e ci consente quale segno distintivo comune che in tutti i Paesi del mondo, in contemporanea , venga divulgato quel che stasera accade qui a Cetraro e dunque porta Cetraro e la Calabria in tutto il mondo.
www.premiosimonagesmundo.com

SE L’OMBRELLO SCOMPARE A VIA CONDOTTI

di Francesco Grosso


Ci sentiamo tutti in dovere di non scordare l’orrenda fine di Giovanna Reggiani, la donna che nei giorni scorsi, a Tor di Quinto, Roma, è stata aggredita da un clandestino romeno proveniente da una baraccopoli, e da questi seviziata, tramortita, e gettata in fin di vita in una scarpata.
Il problema è che un simile episodio di cronaca, di per sé facilmente strumentalizzabile data la materia scabrosa, ha permesso al meccanismo mediatico di valicare nuovi confini di indecenza. La povera vittima non aveva ancora concluso la sua agonia, e già lo sciacallaggio dell’informazione televisiva si era messo in moto. Alcune emittenti private (e i potentati politici che le controllano, che hanno tutto l’interesse a cavalcare l’indignazione popolare), avevano già sguinzagliato frotte di cronisti per la città, a caccia della massaia terrorizzata o del coatto da Curva Nord che la sparasse più grossa – ha avuto i suoi dieci secondi di celebrità anche il ragazzotto che ha proposto di appendere per la gola indistintamente tutti i romeni «ai lampioni, così ce fanno luce».
La reazione che ha preso il sopravvento, a livello mediatico, è stata quella del livore assoluto e indirizzato contro gli immigrati in generale – come se il complesso fenomeno dell’immigrazione verso l’Europa potesse essere osservato attraverso le lenti deformate di un episodio di cronaca nera avvenuto in Italia. E, quello che è peggio, padrona assoluta dell’agone televisivo è stata la disinformazione, anche terminologica: esperti, meno esperti, semplici comparse, hanno discettato per ore di minacce alla sicurezza, orde barbariche, Codice Penale, senza avvertire il bisogno di far conoscere al pubblico l’esatto significato di termini come «rom», «romeno», «zingaro», «extracomunitario», «clandestino»; senza far capire, ad esempio, che la Romania, dal gennaio di quest’anno, fa parte a tutti gli effetti dell’Unione Europea.
È dunque consolante, anche se non sorprendente, che nell’ora dell’odio e della superficialità, le parole più sensate, più dolci, più meditate, siano venute dai familiari della povera Gabriella: «Non tutti i romeni sono criminali. Una cosa simile avrebbe potuto farla anche un italiano. Se la morte di Gabriella venisse strumentalizzata ci dareste un nuovo dolore», ha dichiarato il giorno dei funerali il marito della donna; parole commoventi pronunciate con grande dignità, che – permettendomi di percepire il mio pensiero già ampiamente rappresentato – mi avevano convinto a non aggiungere alle mille voci anche la mia. Avrei evitato il rischio della banalità e della facile analisi a tavolino.
Non avrei voluto scrivere su questa vicenda, e non l’avrei fatto, se non mi fossi trovato, due giorni dopo la tragedia, davanti al televisore all’ora di pranzo. Rai Uno, la Rete ammiraglia della TV di Stato; per l’esattezza il TG1, il telegiornale canonico, al quale si affidano milioni di italiani – e che, in un Paese che praticamente non legge quotidiani, non legge libri, non legge niente, costituisce per molti cittadini l’unica fonte di informazione e di opinione – stava mandando in onda un servizio da una baraccopoli romana, abitata da rom provenienti per lo più dalla Romania. Una baraccopoli che raccoglie (come tutte le baraccopoli del mondo) una umanità derelitta e marginale, bambini in fasce e anziani spenti, donne per lo più indaffarate e maschi per lo più inoperosi, semplici poveracci e furfanti in cerca di copertura, tutti comunque accomunati dalle difficili condizioni del vivere.
Impegnata in una di quelle interviste “sul campo” che violano la quotidianità di persone accampate in riva al fiume, ma che fanno molto colore, una giornalista sta rivolgendo domande intelligenti, del genere: «Come va, quaggiù?» Risposta: «Benino, grazie.» Oppure: «Ma voi rubate? Scippate? Spacciate?» «No, no, per carità…» La simpatica inviata, però, a questo punto, introduce un sorprendente diversivo. Siccome i potenti mezzi della Rai non sono riusciti a preservarla dalla pioggia, ed è dunque stata costretta a portare con sé l’ombrello, a telecamere ancora accese si accinge a recuperare il prezioso oggetto, in precedenza lasciato incustodito presso una baracca. E in questo momento avviene il colpo di scena: il servizio, tingendosi di giallo, diventa tv-verità. Ebbene sì, signori: alla giornalista è… sparito l’ombrello. Apriti cielo: ecco la conferma che cercavamo. Gli zingari rubano, e rubano gli ombrelli. Ce l’hanno nel Dna, ecco. È tutto scritto: gli svizzeri sono sempre puntuali, i brasiliani sono indolenti, gli spagnoli calienti, i genovesi avari, i napoletani truffaldini. E via dicendo. Come nelle barzellette: c’è un italiano, un francese, un inglese… Hai visto mai che gli zingari si lasciavano scappare l’occasione di rubare un ombrello?
È evidente che queste sono mie conclusioni: la giornalista si limita a documentare il furto, non commenta, non entra nel merito – e ci mancherebbe altro. Il fatto è che il servizio pubblico dovrebbe stare sempre molto attento ai segnali che lancia. Dovrebbe conoscere la sconcertante potenza dei simboli, dei messaggi più o meno subliminali che passano, attraverso il tubo catodico; soprattutto se questi segnali arrivano ad un pubblico poco preparato, sprovvisto di anticorpi specifici, incapace di contestualizzare.
E allora, integriamola noi, l’informazione carente, diamo una notizia alla giornalista derubata e all’intero TG1: un ombrello abbandonato in un angolo, con l’improvvido proprietario che scorazza qua e là impegnato a porre domande sui massimi sistemi, scompare pure a Via Condotti, nel centro elegante di Roma, o a Via Montenapoleone, nel centro elegantissimo di Milano, o nel centro (meno elegante) di Cosenza, dove abito io. Scompare, l’ombrello incustodito; scomparirebbe dovunque, in centro o in periferia, nel centro commerciale o nel centro storico, in riva al mare o in riva al fiume, perché l’occasione fa l’uomo ladro (sdoganiamoli tutti, a questo punto, i luoghi comuni…), e perché la natura umana, in fondo, è questa: egoismo, lotta per la sopravvivenza, bilanciamento fra pulsioni primarie e controllo sociale.
Il furto di un ombrello per strada non è una notizia. Il furto dell’ombrello di una giornalista non è una notizia; le disavventure dei membri di una troupe televisiva non interessano e non devono interessare il telespettatore, perché altrimenti ogni servizio dovrebbe rendere conto dell’eventuale caduta del cameraman, magari inciampato nell’insidioso cavo del microfono, o del raffreddore dell’autista che accompagna la troupe.
Se poi si vuol parlare di utilità marginale, e dire che ci sono posti in cui gli ombrelli si rubano più che in altri, perché più utili, si faccia pure, ma si trasformi il tutto in vera informazione. Dunque: quaggiù rubano gli ombrelli perché quando piove a dirotto piove pure nelle baracche. Quaggiù vivono nel fango, ci sono bambini che non hanno mai visto un medico. Diamine, se servono, gli ombrelli, da queste parti; la vera notizia sarebbe stata: «Ecco, vedete? L’ombrello è al suo posto, non è stato rubato…»
Non è finita, comunque. La chiusura del servizio è da Antologia della Televisione: un vero e proprio frammento di tv-verità si dischiude agli occhi del telespettatore. Pochi minuti dopo la scoperta dell’esecrabile sottrazione di ombrello, il corpo del reato, nelle mani di una ragazzina sorridente, ricompare, e viene restituito accompagnato dalle scuse dell’intero accampamento. L’infinita dignità degli Ultimi, direbbe qualcuno. Alzi la mano chi riesce ad immaginare un finale simile nel centro di una qualsiasi città italiana, o dalle parti di Via Condotti.

venerdì 2 novembre 2007

" L'abbuffata", la faccia cinematografica di Diamante

di Luca Fortunato

Sabato in occasione del Festival del cinema in Roma, alle ore 19 è stato proiettato nella sala Sinopolis dell’Auditorium della Musica nella città eterna, “L’abbuffata”, un film girato a Diamante con la regia di Mimmo Calopresti ed un folto cast di attori: Gérard Depardieu (Gérard), Diego Abatantuono (Neri), Valeria Bruni Tedeschi (Amelie), Mimmo Calopresti (Francesco). Per l’occasione è stato presente a Roma il sindaco di Diamante, Ernesto Magorno per assistere ad un evento d’eccezione per la cittadina. Ora la perla del Tirreno oltre che città dei murales è anche sfondo cinematografico per pellicole importanti come quella de “L’abbuffata”. Tutti sognano il cinema. Un sogno, un mondo irreale che a volte si concretizza nella gioie concrete d’una pellicola, in altri casi si cimenta in un miraggio di rimpianti. E nel bellissimo borgo di Diamante, nella città dei murales, in una Calabria colorata con pastelli mediterranei, un gruppo di quattro giovani amici ha finalmente il coraggio di girare un film. Tanti i personaggi caratteristici d’un paese che vive, dalla banda del paese al cinico regista interpretato da Diego Abatantuono ritiratosi a vita di contemplazione ma convinto d’essere spinta d’un sogno da realizzare, dalle zie che aspettano ancora l'amor al professore d'inglese (Nino Frassica), dal parroco alla barista (Donatella Finocchiaro), per concludere alle stelle tanto luminose del mondo del cinema, “al di là dei confini della Calabria, tutti - esprime una nota dell’Istituto Luce, coproduttore del film - rimangono coinvolti dall'energia, dalla magia e dalla semplicità con cui i quattro ragazzi vogliono costruire un presente e un futuro diverso. E per la grande star (Gérard Depardieu) che ha accettato generosamente di atterrare in Calabria, in compagnia della fidanzata (Valeria Bruni Tedeschi) per girare il loro film, i giovani amici con l'aiuto di tutto il paese prepareranno una grande festa: una vera e propria abbuffata”.
“Una vera e propria occasione – ha commentato Magorno – per riflettere una Calabria diversa da quella che molte volte è ritratta nelle vicende di cronaca. Questo film è un modo come tanti per esprimere che la Calabria è costituita anche di atti di coraggio accompagnati anche da sogni che si possono realizzare con la voglia e la tenacia”.

Nessuna conclusione è posta a qualsiasi forma di sapere

di Luca Fortunato
“Contro il Vangelo armato. Giordano Bruno, Ronsard e la religione” è il titolo del libro di Nuccio Ordine presentato a Roma nella sala delle Colonne presso Palazzo Marini, venerdì 26 ottobre. Una tavola rotonda di nomi illustri come Giulio Ferroni, Giulio Giorello, Giacomo Marramao, Stefano Rodotà e Giovanni Latorre si è aperta ad una folla numerosa ed insaziabile di godere di un percorso, di un intreccio, di un viaggio solcato dalle linee profonde degli interventi dei protagonisti. Nuccio Ordine è il professore ordinario di letteratura italiana nell’Università della Calabria, è l’invitato in qualità di Visiting Professor in diversi istituti di ricerca e università negli Stati Uniti ed in Europa ma è soprattutto la gemma che la sua terra vuole custodire ed allo stesso tempo condividere con il mondo. Questo è stato forse l’innesco per affrontare un viaggio di cinquecento chilometri per la delegazione dell’amministrazione comunale di Diamante capeggiata dal sindaco Ernesto Magorno e soprattutto dai parenti ed amici. Ordine è il filo di congiunzione tra il valore elevato della filosofia di Giordano Bruno ed il mondo della gente, del quotidiano, del professionale che con una concretezza sfacciata cementifica il punto di partenza di un viaggio. “Bruno è l’esule” come ha ricordato Giulio Giorello, è colui che va dall’Italia alla Francia, all’Inghilterra, alla Germania ma forse le ceneri del grande filosofo sfiorano l’aria, cavalcano le nubi ancora oggi per tramutare quel fuoco che gli ha strappato la vita in un viaggio, ricerca instancabile della verità, tentativo di costruzione, di fievole ottemperamento all’essere uomini per gli uomini che si staccano dai fili di seta che gli impone la vita e stracciando le catene si mettono in cammino senza presupporre una verità assoluta. E’ difficile la ricerca del centro di una sfera perché ogni punto può esserlo, la Terra non è il centro, un uomo non è il centro ma ogni uomo potrà essere il centro, “ognuno di noi è specchio dell’universo” come ha commentato Marramao.
“Nessuna conclusione è posta a qualsiasi forma di sapere” scandisce l’inizio penetrabile e concreto dell’intervento di Nuccio Ordine. La vita è l’insieme delle strade dell’esistenza che abbracciano l’incontenibile tutto che di giorno in giorno ci incontra e ci scontra. La religione cos’è? “Può essere - come commenta Marramao – esperienza di fede o appartenenza” ma comunque è un dispositivo di dogmi. Bruno come si è delineato nel corso del dibattito “ha voluto mostrare gli effetti nefasti che i dogmi della teologia hanno avuto nella vita civile. I libri sacri non parlano di filosofia, non indagano i segreti degli astri. Il teologo è il pastore dei popoli mentre il filosofo indaga sulla verità della natura”.

giovedì 1 novembre 2007

Per una scuola di corti di animazione a Cetraro

di Francesca Rennis

In scena il cinema d’animazione e con questo i giovani protagonisti di una realtà ormai pronta a mettere radici sul Tirreno cosentino con una scuola diretta dall’architetto Raffaele Schiavullo, docente di “Tecniche di realtà virtuale” presso l’Università Federico II di Napoli. La terza rassegna internazionale del cinema “Il fiore d’ogni dove” allarga i suoi orizzonti oltre frontiera grazie alla presenza di un’ospite d’eccezione come monsieur Robert Kalman, membro del Comitato esecutivo dell’Unesco, e di lavori provenienti da diverse nazioni, ma soprattutto per il forte imprinting alla formazione di professioni innovative legate alla cinematografia. Dalla elegante e sicura conduzione di Francesca Villani, referente per l’Editoria e comunicazione del Laboratorio “G. Losardo”, si è snodato il percorso culturale dell’associazione promosso con la collaborazione dell’associazione Simona Gesmundo Corti d’animazione e sotto la tutela dell’Unesco. Dei nuovi linguaggi multimediali applicati al cinema hanno parlato il presidente del Laboratorio, Gaetano Bencivinni e il direttore artistico della rassegna Matilde Tortora restituendo un insieme di suggestioni e concetti fondanti di una cultura improntata su “volontariato, sobrietà e solidarietà”.
I premi della rassegna e “Simona Gesmundo” sono stati attribuiti rispettivamente al tedesco Martin Rahmlow per “Aal im Schadel”, migliore corto in digitale, e alla russa Irina Litmanovich per “Khelom’s customs”, migliore corto d’animazione. Menzioni speciali anche ad altri lavori dai contenuti significativi e pregnanti, nonché per l’originalità tecnica. Il sindaco di Cetraro, Giuseppe Aieta, nel confermare l’impegno per la scuola di cinema d’animazione ha sottolineato la collaborazione con il Laboratorio “perché non tutto – ha detto tra l’altro - può essere delegato alle amministrazioni” mentre bisogna dare spazio “ad iniziative di nicchia che ci conferiscono specificità. Questo territorio si accinge a dare una spallata all’immobilismo, a rompere il recinto dell’inerzia”. In questa direzione è intervenuto anche il sindaco di Fuscaldo, Davide Gravina, nel consegnare il riconoscimento del Laboratorio, sezione Cinema, al regista Fabio Marra che ha realizzato il film “Vienna da Fuscaldo, madre di San Francesco di Paola”. A ricevere le targhe per la sezione Comunicazione, Carla Monaco, giornalista Rai, e per Radio Azzurra, Ugo Manco e Nunzia Adduci. Assegnazioni targhe per la sezione Cinema anche ai registi Giovanna Taviani per “Ritorni”, Giovanni Scarfò per “Melissa 49/99” che è intervenuto per raccontare di persona la sua versione “metaforica” del cinema lontana da “questioni ideologiche”. Oltre le formalità di rito e in linea con la creatività dialettica del momento il discorso fuori dalle righe di un simpatico Kalman al quale è stato consegnato il riconoscimento speciale “Cristo d’argento”, simbolo del Laboratorio “Losardo”.( Provincia cosentina 30 ottobre)

A Robert Kalman il Cristo d'argento

di Clelia Rovale

Anche la III° edizione della Rassegna cinematografica “Il fiore di ogni dove”, organizzata dal Laboratorio sperimentale “Giovanni Losardo”, svoltasi ieri sera nella Sala convegni della Colonia San Benedetto di Cetraro, non ha tradito le aspettative, confermandosi come un evento culturale unico nel suo genere nella nostra regione e con una dimensione diventata ormai internazionale, arricchita, quest’anno, anche dalla prestigiosa presenza, quale ospite d’onore, nonché presidente della giuria che caratterizza il premio previsto all’interno della stessa, di Robert Kalman, membro del Comitato esecutivo dell’Unesco, al quale, nel corso della serata, è stato attribuito il I° premio “Cristo d’argento”, introdotto quest’anno dall’organizzazione. Alla serata hanno, inoltre, preso parte, intervenendo, il sindaco di Cetraro, Giuseppe Aieta, la stessa prof.ssa Tortora, varie personalità del mondo della cultura e dell’informazione, insieme ai più validi e giovani talenti del territorio, che hanno ricevuto dei riconoscimenti, nel pieno rispetto delle finalità che l’associazione organizzatrice, appunto, si propone. Come è noto, la rassegna “Il fiore di ogni dove”è organizzata dal Laboratorio sperimentale “Giovanni Losardo”, di cui è presidente Gaetano Bencivinni, ed è diretta dalla scrittrice e docente Matilde Tortora, che ne è anche l’ideatrice. Dallo scorso anno, inoltre, essa contiene il Premio “Simona Gesmundo: corti d’animazione”, dedicato alla memoria di questa giovane studiosa di intelligenze artificiali prematuramente scomparsa e di Mauro e Giampiero Ganeri, giovani cultori di arte cinematografica, anch’essi prematuramente scomparsi. La serata, che è stata aperta e coordinata da Francesca Villani, referente per l’editoria e la comunicazione del laboratorio “Losardo”, ed è stata presieduta da Gaetano Bencivinni, è stata articolata in due parti. Dopo l’intervento di Raffaele Schiavullo, docente di Realtà virtuale presso l’Università “Federico II” di Napoli, che ha parlato dell’ambizioso progetto di realizzare una Scuola per la formazione di professionisti nel campo dei corti d’animazione a Cetraro, progetto già in via di realizzazione a Pagani, in provincia di Napoli, in collaborazione con l’associazione “Simona Gesmundo”, è stato proiettato l’ultimo lavoro del noto regista Simone Massi, intitolato “La memoria dei cani”, vincitore dell’ultimo Festival di Stoccolma. Subito dopo, sono stati consegnati i riconoscimenti, per il lavoro svolto nel campo dell’informazione locale, alla giornalista Rai Carla Monaco, volto noto del Tg3 Calabria, che ha ricordato i suoi esordi in questa non facile professione, e a Radio Azzurra, che ha sede a Scalea, nota emittente locale, leader di ascolti. Ricevendo i premi, i responsabili dell’emittente hanno sottolineato le peculiarità che distinguono i rispettivi ambiti di competenza. Subito dopo, sono stati presentati e premiati i corti “Vienna da Fuscaldo, madre di San Francesco di Paola”, di Fabio Marra, premiato dal sindaco di Fuscaldo, Davide Gravina, “Melissa 49/99”, corto incentrato sui tragici fatti di Melissa avvenuti, appunto, nel 1949, di Giovanni Scarfò, e “Ritorni”, di Giovanna Taviani, assente per motivi di salute. Presenti anche la giovane regista russa Irina Litmanovich, di Mosca, e Anna Kiss, attrice, che ha lavorato anche con Luchino Visconti. Alla serata è intervenuto, come già sottolineato, il sindaco di Cetraro, Giuseppe Aieta, che ha messo in evidenza il ruolo meritorio svolto dal Laboratorio Losardo, capace di incidere in modo positivo su tutto il territorio, nell’ottica di una valorizzazione complessiva delle associazioni che caratterizzano la città, tutte impegnate “per mettere definitivamente in archivio la “cronaca” di Cetraro e dare a questa città un volto e un abito nuovi.( Il Quotidiano 27 ottobre)