domenica 24 febbraio 2008

Tre storie urbane: Guardia, Acquappesa e Cetraro

di Carlo Andreoli

Percorrendo la strada costiera del Tirreno Cosentino, s’incontrano molti paesi: più o meno grandi, più o meno lontani dal mare; i quali disegnano, con la loro sagoma, il profilo variegato dei luoghi.
Noi forse li vediamo tutti uguali o comunque simili. Ma ognuno di loro non solo ha una storia ma ha pure un’età che lo distingue dagli altri: sicché ci sono paesi antichissimi ed altri recenti che noi vediamo scorrere insieme sotto lo sguardo. Eppure basta prendere un lembo di questi luoghi per intendere subito la differenza che corre dall’uno all’altro. E facciamo, in proposito, il caso di tre paesi vicini: Guardia, Acquappesa e Cetraro.
L’abitato di Guardia, che vediamo arroccato su un’altura, sembra sia nato da un incontro casuale che avvenne a Torino intorno al 1315. In un’osteria di Torino – come narra una cronaca – si trovarono a un tavolo alcuni Valdesi - gente cioè che professava il credo di Pietro Valdo - ed un gentiluomo calabrese. E siccome i Valdesi lamentavano che nelle loro valli popolose non si riusciva più a campare, il gentiluomo calabrese offrì loro di venire in Calabria, dove avrebbero trovato il necessario per vivere. Da questo semplice scambio d’idee, nacque così una migrazione: prima di pochi coloni, che andarono a vedere quei luoghi lontani in Calabria; e poi d’intere famiglie che, trovandoli adatti ai loro bisogni di lavoratori dei campi, iniziarono a fondarvi dei borghi d’oltramontani; come furono chiamati dalla gente del posto per il loro linguaggio occitano e per le loro usanze di vita e di religione. Sicché l’abitato di Guardia, che si chiamò Piemontese, proprio per l’origine dei suoi fondatori, prese forma e vigore sul finire del ‘400: quando un accordo tra i Valdesi, sempre più numerosi, ed il marchese Spinelli, ch’era proprietario del feudo, sancì condizioni e dettami per l’istituzione del borgo.
La fondazione dell’antico abitato d’Acquappesa, che è confinante con Guardia, nacque invece in tempi e maniere completamente diversi. Alcune famiglie di lavoratori di Cetraro, sentendosi oppresse dal gravame feudale della Corte Cassinese che allora governava Cetraro, intorno al 1685 fuggirono dal proprio paese, per fondare nel territorio vicino un loro casale che si chiamò Le Pagliare; giusto ad intendere il tipo di dimora occasionale che furono in grado d’erigervi. Seguì una lite giudiziaria, in cui il governo di Cetraro reclamava che i profughi s’erano sottratti, in maniera indebita, al pagamento dei tributi dovuti; mentre il proprietario dei luoghi si lagnava dell’occupazione abusiva. Ma la questione si ricompose e l’erezione della Chiesa del Rifugio, come ancora oggi si chiama la chiesa parrocchiale, finì per completare del tutto l’assetto del nuovo abitato.
Il nucleo originario di Cetraro Marina, infine, il cosiddetto Borgo; che segue sulla costa il territorio d’Acquappesa ha, ancora una volta, un’origine singolare. Quando ci fu in Calabria lo spaventoso terremoto del 1905, anche il capoluogo di Cetraro ne risentì. Ed essendosi costituito un comitato di solidarietà veneto-trentino, che voleva soccorrere la popolazione disastrata, si scelse d’erigere nella Marina di Cetraro un nuovo borgo, costruito oltretutto con criteri antisismici. Cosicché, dopo un paio d’anni di lavoro, su un tratto d’arenile fin allora deserto, spuntò nel 1910 un borgo d’una ventina di case, con la piazza, la scuola e la chiesa; che fu battezzato, in onore dei benefattori veneziani, Borgo S. Marco. E che fu il centro geografico dell’attuale abitato che oggi compone Cetraro Marina.
Insomma, tante storie, l’una diversa dall’altra, che sono all’origine di tre paesi contermini della nostra fascia costiera. E che ci fanno capire come l’unicità del nostro territorio sia proprio fondata sulla diversa origine dei suoi luoghi.



Radio1One
(Venerdì 22 Febbraio 2008)

giovedì 21 febbraio 2008

SINOSSI. CEDRI DI AMANTE

DI
DANIELE CRIBARI
MARCO RAFFAELLI


Donato è uno psicologo di Firenze, da sempre ha curato i suoi pazienti con dedizione e passione. Ultimamente però, riesce solo a pensare al lavoro come fonte di guadagno e si dimentica totalmente di quella che era la sua missione. Un giorno scopre che la sua compagna lo tradisce con un altro uomo. Sconvolto per l’accaduto, chiede consiglio al suo parroco Don Giovanni e decide di accettare l’invito pressante del suo più caro amico Marco, ad andare con lui in Calabria per un servizio fotografico che gli è stato commissionato. Un viaggio all’insegna dell’amicizia e della commedia. Arrivato in Calabria, Donato si imbatte per caso in una comunità socio-educativa che accoglie ragazzi provenienti da vari ambiti del disagio minorile, tra i quali dei bambini rom. Là, incontrerà per caso anche l'eccentrico Don Giovanni il parroco fiorentino in missione, che gli ha fatto da tutore quando era piccolo. Una gita in barca, la ex ragazza che richiama, un ristorante un po’folkloristico, riescono a mettere ancora più confusione in testa a Donato, che si trova obbligato a ripartire per Firenze, per rivedere la sua ex. Ma al ritorno in città Donato capisce che il mare, i cedri, il sole e la bella educatrice della comunità assieme ai suoi giovani ospiti, gli hanno fatto riscoprire le cose più semplici e pure della vita...

domenica 17 febbraio 2008

Alessandro Longo: musicista d’Amantea nell’Italia del ‘900

di Carlo Andreoli

Nel campo della musica classica, il Tirreno Cosentino vanta un nome d’eccellenza in Alessandro Longo; che fu pianista e compositore emerito della Scuola di Napoli, tra la seconda metà dell’800 e la prima del ‘900.
Nato ad Amantea nel 1864, Longo fu allievo, presso il il Conservatorio di Napoli, di Beniamino Cesi, per il pianoforte, e di Paolo Serrao, per la composizione. E conseguito il diploma nel 1884, diede inizio ad una fortunata carriera in cui l’interesse per la tecnica del piano s’unì ad una riscoperta della musica strumentale italiana, rivista sotto il duplice profilo di recupero storico e filologico. In un periodo, di fatto, in cui ancora primeggiava il melodramma, Longo, sotto la spinta soprattutto di Giuseppe Martucci, si propose di riportare in auge la “musica pura”, come lui era solito chiamarla: quel tipo di musica, cioè, che facesse affidamento esclusivo sulle risorse melodiche ed armoniche; per proporsi all’ascolto nella sua nuda veste strumentale. Se da un lato, si volse quindi al repertorio pianistico, divenendo esecutore apprezzato ed autore di numerose pubblicazioni di didattica strumentale; dall’altro il suo impegno di studioso lo portò a mietere successi nel campo della ricerca filologica. Nel 1906, infatti, la Casa Editrice Ricordi gli affidò l’incarico di raccogliere e censire tutta la produzione musicale di Domenico Scarlatti, il grande clavicembalista italiano del ‘700; che giaceva sparsa in archivi e fondi vari di biblioteche. E nel 1910, Longo la riportò alla luce in 11 volumi; frutto d’un lavoro accurato di ricerca e di restauro che ancora oggi costituisce un approccio fidato alla musica del maestro napoletano. A questa impresa di ricerca ne seguì quindi un’altra, con l’edizione che diede della “Biblioteca d’oro”: circa 700 brani di musicisti italiani d’ogni tempo, di cui fornì un’esatta trasposizione per piano, che molto contribuì alla conoscenza del patrimonio musicale nazionale. Per altro verso, la sua perizia di didatta lo portò ad esercitare per 40 anni circa la scuola di pianoforte presso il Conservatorio di Napoli; dove ebbe tra i suoi allievi musicisti come Franco Alfano, Paolo Denza ed Antonino Vuotto. Mentre la sua passione di teorico lo portò a fondare e dirigere due riviste come “Arte pianistica” e “Vita musicale italiana”; le quali, dibattendo di questione tecniche e stilistiche, affrontarono le discussioni allora in voga nel mondo musicale italiano ed europeo. Tutto questo impegno, congiunto all’attività di compositore, con centinaia di pezzi vari per piano e di suites strumentali; ed a quella d’esecutore, che lo portò a fondare a Napoli la “Società del Quartetto”; gli valse grande credito nell’ambito della musica d’arte dei suoi tempi. Tanto che, smesso l’insegnamento nel 1934, fu richiamato, 10 anni dopo, a dirigere il Conservatorio di Napoli: incarico che il maestro ottantenne assolse con coraggio; e da cui solo lo distolse la morte, sopraggiunta in Napoli nel novembre del ’45.
Longo lascia oggi una vasta produzione – strumentale e teorica – ancora tutta da vagliare; ed il ricordo d’un maestro che alcuni vogliono legato ad un’arte tenacemente stretta alla tradizione. Ma il suo ricorso agli esempi nobili della musica europea – che coniugava classico e romantico – fu forse il tentativo, nel disordine causato da due guerre, d’un ritorno al metodo; che ristabilisse nella congerie delle mode quell’antico gusto italico di cui allora, come oggi, s’avverte un bisogno necessario.


Radio1One
(Venerdì 15 Febbraio 2008)

Competitività delle imprese e dei territori

di Vincenzo Gallo

Un comunicato ufficiale del Gruppo Fiat di qualche settimana fa ha annunciato che per circa due mesi, dal 7 Gennaio al 2 Marzo 2008, la normale attività lavorativa dello stabilimento di Pomigliano d'Arco sarà sospesa per procedere a una completa riorganizzazione del processo produttivo.
Ciò sulla base dei principi del World Class Manifacturing, con l'obiettivo di raggiungere la qualità totale, del prodotto, del processo produttivo e dell’organizzazione. In questi due mesi sarà attuato, inoltre, un piano di formazione di massa per 5.000 dipendenti del gruppo Fiat.
Il nuovo modello organizzativo fa riferimento soprattutto all'esperienza della Toyota, leader sul mercato mondiale automobilistico, e all'analisi della concorrenza fatta effettuare da Marchionne, non appena è diventato amministratore delegato della Fiat.
L'innovazione organizzativa punta anche alla valorizzazione, alla creatività e all'imprenditorialità di tutto il personale. L’obiettivo è quello di un suo coinvolgimento per aumentare la capacità dell'azienda di adattarsi ai cambiamenti, di apprendere continuamente, di integrare le conoscenze, di ricercare opportunità all'interno e all'esterno, per creare valore e soddisfare sempre di più le esigenze del cliente.

E’ da sottolineare che in una recente intervista l’amministratore delegato della Fiat Auto, Marchionne, ha affermato che il successo di una organizzazione è soprattutto una questione di uomini.

Il gruppo spagnolo Zara, che sta diventando uno dei leader mondiale del settore moda, è tra i pochi ad avere introdotto di recente una innovazione organizzativa che lo mette in condizione di proporre sul mercato non solo due collezioni ogni anno (primavera-estate e autunno-inverno), ma collezioni che variano continuamente, anche ogni mese.

E ciò sta sconvolgendo tutto il settore dove le imprese sono costrette a ridurre drasticamente i tempi di risposta al mercato, con innovazioni globali, nel design, produttive, di marketing, distributive, finalizzate anche a permettere ai clienti la personalizzazione del prodotto.

Uno dei maggiori esperti mondiali di strategie competitive, i cui testi hanno rivoluzionato l’organizzazione di multinazionali come l’IBM, invita ad applicare i suoi modelli non solo alle imprese, ma anche alle aree territoriali e alle nazioni, visto che non si compete più solo tra imprese, ma tra interi sistemi territoriali.

C’è necessità infatti per tutte le organizzazioni che operano in sistemi fortemente competitivi, di “orientarsi” maggiormente alla concorrenza, di prendere decisioni tempestive in base all’evoluzione dell’ambiente interno ed esterno in cui operano, delle strategie dei clienti, dei fornitori, dei potenziali entranti sul mercato o dei prodotti sostitutivi.

Il Ministero dell’Industria italiano per aiutare le imprese a competere in questo scenario ha deciso di destinare gran parte dei suoi fondi per finanziare la ricerca industriale e sperimentale e non più l’attività produttiva (al contrario di quello che è stato fatto con il sistema moda in Calabria).

C’è la corsa, pertanto, a finanziare l’innovazione, ad attrarre non solo capitali, ma anche competenze altamente specialistiche in un mondo sempre più globalizzato, dove le imprese fanno ricerca, progettano, acquistano, producono e vendono nelle aree dove hanno più convenienza a farlo, con una rapidità a localizzarsi e a delocalizzarsi impressionanti.

In questo contesto in forte evoluzione c’è da chiedersi quali possibilità di sviluppo possono avere in futuro organizzazioni e aree territoriali che appaiono fortemente statiche.

Nella filiera degli agrumi, ad esempio, dove Calabria e Sicilia sono tra i maggiori produttori nazionali, la Spagna è leader nel Mediterraneo della produzione e delle esportazioni, riuscendo ad esportare oltre il 55%. L’Italia è il secondo produttore ma solo il sesto esportatore (esporta poco più del 6%).
Il Cedro è un agrume che cresce in Italia solo nella Riviera dei Cedri, eppure è coltivato solo in meno di 70 ettari (contro i 1500 ettari del Bergamotto nella provincia di Reggio). Mi pare evidente, pertanto, che si potrebbe fare di più per sfruttare questo vantaggio competitivo a livello mondiale e sostenere produzioni non solo tipiche, ma anche esclusive.

C’è da chiedersi, inoltre, come mai in alcune aree della stessa Calabria, come ad esempio quella di Tropea, si riescano ad attrarre centinaia di migliaia di turisti stranieri ogni anno, anche in bassa stagione, con il supporto di alcuni importanti operatori tedeschi, mentre in altre aree c’è il deserto.

Con i voli low cost è aumentata, inoltre, la mobilità dei turisti a livello mondiale e i tour operators sono interessati soprattutto ad alberghi localizzati ad una distanza non superiore ad un’ora dagli aeroporti. In questo contesto l’aeroporto di Scalea, che ha una pista che compete con quella di Lamezia, ancora non è accessibile ai voli charter. Ciò quando mi risulta che un tour operator scandivano, interessato alla Calabria, è costretto a far atterrare i suoi aerei all’aeroporto di Napoli, per far arrivare i suoi clienti nell’area di Maratea e nell’ Alto Tirreno.

Tutto ciò dimostra che c’è la possibilità di cogliere opportunità, che a volte sono evidenti, magari solo per la mancanza di un approccio culturale corretto.

Ben vengano, pertanto, le iniziative che hanno l’obiettivo specifico di aumentare la competitività dei territori.

Ritengo sia stato un errore non dare seguito all’iniziativa “Investire nella Riviera dei Cedri”, avviata dalla Comunità Montana nel 1999.
Pur senza risorse si era riusciti ad inserire il Tirreno in un circuito nazionale e internazionale e ad attivare un progetto di ricerca sulla ginestra con Fiat, Linificio Marzotto e Università della Calabria, al quale era interessato anche la Shell, con potenzialità di sviluppo della filiera a livello mondiale.

Il filato di ginestra realizzato dal Linificio Marzotto, con la fibra messa a disposizione dall’Università della Calabria, è stato esposto qualche giorno fa per la prima volta al PITTI Filati a Firenze, in una mostra dedicata ai filati naturali e biologici di lino, cotone, canapa, ortica, ecc. Questo segmento di mercato ancora di nicchia ma in forte crescita, ha riscosso un grande successo presso gli operatori internazionali presenti alla manifestazione.

Ma è da sottolineare che sono già sul mercato internazionale prodotti per il settore tessile e per la bioedilizia prodotti da tre aziende italiane utilizzando canapa e kenaf coltivati nel nostro paese. Una di questa imprese, dopo solo 5 anni di attività, è stata di recente acquisita da un gruppo del settore moda operante in borsa.

Per quanto riguarda la nuova agenzia per lo sviluppo locale approvata dal Comune di Paola non conosco l’organizzazione e il business plan della società che si sta avviando. Ho letto che uno degli obiettivi è quello di sfruttare le enormi potenzialità offerte dal turismo religioso, che è una grande risorsa da cogliere.
E’ da apprezzare, pertanto, l’idea perché mi pare vada nella direzione giusta.

A Vincenzo Mollica il Cristo d'argento

di Tiziana Ruffo

La Riviera dei Cedri si presenta sempre più come un territorio ricco di risorse naturali, artistiche ed umane, si tratta solo di valorizzarle e di metterle in fruttuosa sinergia. E’ questo il programma di lavoro del Laboratorio Sperimentale G. Losardo che, tra i tanti obiettivi perseguiti, ne coltiva uno, in particolare, che riunifica la valorizzazione dei giovani talenti con una forma innovativa del linguaggio cinematografico: il corto d’animazione.
Privilegiando la città di Diamante come luogo eletto per la promozione d’eventi culturali, il Laboratorio Losardo, col patrocinio dell’Amministrazione Comunale della Città dei Murales, ha organizzato per il 16 febbraio, alle ore 17.30, presso il Museo d’Arte Contemporanea, una vetrina di film d’animazione che presenta il meglio dell’ultima edizione del Premio Simona Gesmundo, tenutasi il 26 ottobre ultimo scorso. Il “Premio Simona Gesmundo Corti d’animazione”, intitolato alla memoria d’una giovane studiosa di cinema e di linguaggi multimediali, è già da qualche anno una delle proposte originali dell’associazione culturale che vede la partecipazione entusiasta di cineasti italiani e stranieri. Alla serata, coordinata da Francesca Villani e Luigi De Francesco, entrambi responsabili del Laboratorio Losardo, prenderanno parte la comunità “Lo scoiattolo” di Sangineto, rappresentata dal Presidente Aias-Sezione di Cetraro, Annalisa Ferraguto, nonché esponenti del Forum delle Associazioni diamantesi, proprio per sottolineare la volontà di raccordo delle varie associazioni di zona perseguita dal Laboratorio Losardo. Sono altresì previsti gli interventi del sindaco di Diamante Ernesto Magorno, dell’assessore comunale alla cultura Battista Maulicino, del presidente del Laboratorio Losardo Gaetano Bencivinni, e dell’assessore provinciale alla cultura Stefania Covello. Due presenze di rilievo sono infine quelle del regista fiorentino Daniele Cribari, che si soffermerà sul progetto di collaborazione instaurato col Laboratorio Losardo; e del giornalista Rai Vincenzo Mollica, a cui, nel corso della serata, sarà conferito il “Cristo d’Argento” in riconoscimento dei suoi meriti di lavoro volti a far conoscere aspetti sempre inediti della realtà cinematografica di oggi. ( Gazzetta del Sud 17.02.2008)

lunedì 11 febbraio 2008

La “Visitazione della Vergine” ad Aieta, Belvedere e Fuscaldo

di Carlo Andreoli


Il tema pittorico della Visitazione riprende un episodio biblico tra i più belli e toccanti che si conoscano. Maria Vergine, dopo aver appreso dall’angelo Gabriele di portare nel suo grembo Gesù, si reca in visita dalla cugina Elisabetta; in attesa a sua volta di Giovani Battista: di colui cioè che sarà, con la sua predicazione, il precursore di Cristo. Ed Elisabetta l’accoglie con la famosa espressione: “Benedetta tu sia fra le donne, e benedetto sia il frutto del tuo seno”. Si tratta, dunque, d’un momento d’elevata commozione spirituale che artisti d’ogni tempo hanno rappresentato secondo il gusto corrente mediato dal proprio stile personale: così da offrire svariate interpretazioni del medesimo soggetto.
Nelle chiese del Tirreno Cosentino, ritroviamo il tema della Visitazione svolto da tre maestri della pittura napoletana, appartenenti ad epoche diverse; che ne danno ovviamente una lettura differente ma ogni volta avvincente e raffinata.
Ad Aieta, sull’altare maggiore della Chiesa di S. Maria della Visitazione, è una grande pala della “Visitazione della Vergine”, del primo decennio del ‘600, dovuta all’arte di Fabrizio Santafede. Uno dei massimi esponenti del tardo-manierismo napoletano che guarda soprattutto all’esperienza di pittura riformata d’ascendenza veneta e toscana. Così, seguendo i moduli del tardo ‘500, il dipinto è concepito con un impianto grandioso, sia pure temperato da un senso di classica misura. E sviluppa la scena dell’incontro sotto una nuda arcata, posta controluce, che dilaga il suo chiarore in lontananza; mentre figure gravi, in primo piano, si sciolgono in una confidente aura d’armonia.
A Belvedere Marittimo, nella Chiesa di S. Maria del Popolo, vediamo come il medesimo soggetto cambi già di molto d’espressione. Nella navata di sinistra, è infatti una tela della “Visitazione” dovuta, questa volta, ad un artista operante nella prima parte del nostro ‘700: Gian Battista Lama, allievo di Paolo de’ Matteis; e sotto l’influsso, entrambi, della ricca pittura colorata d’un Luca Giordano. Qui gioca, infatti, molto la soavità del colore e la morbidezza del chiaroscuro; che avvolgono tutte le figure in una soffice atmosfera di delicato gusto classicheggiante.
A Fuscaldo, infine, nella Chiesa dell’Immacolata troviamo un’ultima versione del nostro tema della “Visitazione”. Per mano ancora d’un pittore napoletano della prima parte del ‘700, Jacopo Cestaro; ma affine, questa volta, all’esperienza artistica di Francesco Solimena: e quindi già barocco, concitato, con campi di colore vivido che intarsiano il dipinto. Le figure si dispongono a salienti sull’asse verticale e nel dipinto è già un’aria artefatta da rappresentazione scenica.
Insomma tre modi diversi, come dicevamo, per esprimere il medesimo episodio della Visitazione di Maria. Eseguiti da tre artisti che rappresentano ognuno momenti, gusto e stile differenti. Ma unificati tutti in quel coro a più voci che fa dello studio delle arti uno degli osservatori privilegiati per intendere l’evoluzione della nostra civiltà. Tutta lì racchiusa, in quelle forme rarefatte. E tutta da scoprire, per dirci, col suo linguaggio muto, cos’è stata la nostra civiltà nel corso del suo tempo.


Radio1One
(Venerdì 8 Febbraio 2008)

sabato 2 febbraio 2008

Trattenere i talenti

di Tiziana Ruffo

La disoccupazione giovanile costituisce il vero dramma del territorio che rischia di trovarsi senza futuro . Il problema delle opportunità lavorative nel tirreno cosentino, che si riducono anche per i laureati e i diplomati, costituisce motivo di preoccupazione anche per l’università della Calabria che sforna ragazzi di alto livello e formazione ma sono costretti a trovare lavoro altrove. Trattenere i talenti e le competenze è obbligatorio per favorire un processo di crescita del territorio stesso. Lo sostiene con forza il preside della facoltà di Scienze politiche all’università della Calabria, Silvio Gambino che ha sottolineato quanto la mafia costituisca il disincentivo principale al processo di crescita economico e sociale del territorio. “La pervasiva presenza della criminalità organizzata nel tirreno cosentino- ha dichiarato - è un vero e proprio macigno nel processo di sviluppo economico e sociale del territorio. costituisce un forte ostacolo per le imprese esistenti e per quelle che dovrebbero venire ad investire; questo comporta una flessione delle opportunità lavorative con la conseguente fuga dei cervelli”. La sinergia tra l’università della Calabria e le diverse articolazioni statali è fondamentale, secondo il prof Gambino, per invertire la tendenza che caratterizza attualmente la Regione e richiede uno sforzo di tutti i soggetti in grado di poter garantire nuove forme di sviluppo innovativo, tecnologicamente ben sorretto con grande qualità e soprattutto che punti a tutte le forme produttive e di preparazioni eccellenti. “La presenza della criminalità – ha concluso Gambino- è un fatto grave rispetto a cui bisogna intervenire con determinazione da parte di tutte le istituzioni perché è fondamentale che lo Stato ripristini la sovranità nel territorio e consenta di creare quelle condizioni di sicurezza giuridiche indispensabili per avviare una crescita economica e culturale di questa zona, senza questo intervento drastico e importante non c’è futuro per i giovani e neanche per lo stesso territorio”.

La Pinacoteca del Santuario di Paola

di Carlo Andreoli


A proposito di risorse d’arte del Tirreno Cosentino, ci si può chiedere se esista, in qualche luogo, una raccolta d’opere d’arte che possa prefigurare la presenza d’un museo o collezione. Ebbene, a tal quesito si può rispondere di sì; sia pure con riserva. Giacché, infatti, a Paola il Santuario di S. Francesco dispone d’un’interessante collezione di dipinti che presto prenderà le forme d’una stabile ed organica pinacoteca. La quadreria di Paola raccoglie opere che vanno dalla seconda metà del ‘400 fino ai primi dell’800; e deriva, in buona parte, dagli ambienti originari del convento; cui si sono aggiunti contributi notevoli provenienti dal complesso di S. Francesco di Paola ai Monti di Roma; ed altri ancora acquisiti sul mercato antiquario oppure frutto di donazioni. Insomma un pregevole spaccato di pittura che, sul filo conduttore della spiritualità dell’Ordine dei Minimi, raccoglie un campionario d’arte romana, napoletana e calabrese che ne fa una collezione per niente affatto provinciale. Volendo fare, in breve, una rassegna degli autori più importanti che conta la collezione partiamo da Jacobello d’Antonio, figlio d’Antonello da Messina, ch’è presente con una tavola della “Madonna degli Angeli” di fine ‘400, tra le poche opere superstiti di questo artista raffinato. E proseguiamo, quindi, con Andrea Lilli, che Federico Zeri definì “vero signore del momento artistico romano” di fine ‘500, di cui sono 6 dipinti ad olio su ardesia incentrati sui “Miracoli del fuoco” di S. Francesco di Paola. Per giungere all’ “Ecce Homo” di Battistello Caracciolo, risalente circa al 1625: una vera perla di questo seguace napoletano di Michelangelo Merisi da Caravaggio. La pittura calabrese del ‘600 appare, quindi, rappresentata con un “Ritratto di S. Francesco di Paola” di Gregorio Preti da Taverna: fratello maggiore di Mattia, ed operante anch’egli nell’ambiente pontificio di Roma. E prosegue coll’importante contributo dato all’arte del ‘700 da Giuseppe Pascaletti di Fiumefreddo Bruzio; che si segnala soprattutto per un vivace “S. Michele Arcangelo” del 1750. Tra i contributi di provenienza estera, abbiamo, quindi, un artista sivigliano, esponente del rococò spagnolo, Juan de Espinal; di cui si può vedere un ciclo di ben 11 dipinti sulla “Vita e miracoli del Santo”; che fu eseguito, nel secondo ‘700, per il Convento dei Frati Minimi di Triana a Siviglia. Mentre d’un artista pugliese, Nicola Menzele, sulle orme della Scuola Napoletana del ‘700, sono 3 tele dedicate ad “Episodi della vita di Cristo”. E d’un maestro del barocco napoletano, come Pietro Bardellino, si segnalano ancora due dipinti di pregiata fattura.
Quello che abbiamo tracciato vuole essere soltanto un riepilogo dei lavori principali. Giacché la Pinacoteca di Paola raggruppa ancora numerosi ritratti ed affreschi d’epoche diverse. Molti dei quali si trovano in ambienti suggestivi del convento; come il Corridoio dei Padri o la Biblioteca, sulla cui volta spicca un “Incontro di Salomone con la Regina di Saba” di Genesio Galtieri. E sono queste qualità che ne faranno quanto prima una pinacoteca d’indubbio valore: espressione originale dei nostri beni d’arte.


Radio1One
(Venerdì 1 Febbraio 2008)