sabato 29 dicembre 2007

Artisti siciliani ad Amantea

di Carlo Andreoli

L’arte del Tirreno Cosentino ha sempre ricevuto un contributo notevole dalla vicina Sicilia. E ci sono, anzi, paesi dove è possibile riscontrare una presenza particolare d’artisti siciliani. Com’è il caso d’Amantea.
Forse pochi sanno che per un triennio circa – dal 1457 al ’60 – è probabile che abbia avuto una bottega d’arte ad Amantea Antonello da Messina: uno dei maggiori pittori dell’Europa del Rinascimento. La notizia attende ancora chiarimenti. Ma è certo, ad esempio, che nel 1460 un vascello sia giunto ad Amantea per imbarcare l’intera famiglia del Maestro, servitù compresa, diretta alla volta di Messina. Circostanza che fa pensare che Antonello vi abbia soggiornato a lungo; mentre era impegnato in opere che ha lasciato anche in Calabria, come la famosa tavola del Museo di Reggio.
Nella Chiesa di S. Bernardino d’Amantea, poi, sono raccolte altre testimonianze notevoli d’arte siciliana.
Come la splendida scultura della ‘Madonna col Bambino’, eseguita nel 1505 da Antonello Gagini.
Il Gagini, che dimorava in quel tempo a Messina, è stato una delle massime espressioni della scultura del ‘500 nel Meridione d’Italia. Ha lasciato molti suoi lavori in Calabria. Ma la Madonna d’Amantea, per la sua delicatezza ed il fascino formale, è senza dubbio da ascriversi tra le sue cose migliori.
Un altro scultore messinese, Rinaldo Bonanno, che si muoveva nella sfera del Montorsoli, ha prodotto per l’Oratorio dei Nobili, che si trova attiguo alla Chiesa di S. Bernardino, un’altra opera piuttosto singolare.
Si tratta d’un altorilievo della ‘Nascita di Cristo’, eseguito intorno al 1570.
La Natività è sempre stato uno dei temi prediletti dell’arte d’ogni tempo. Ma questo che si trova ad Amantea, nell’Oratorio dei Nobili, raggiunge un risultato espressivo di grande suggestione. Le figure, levigate con morbidezza nel marmo bianco, riportano il tema della Nascita alla sua raccolta intimità; ed è difficile dimenticarne il senso di stupito splendore.
Un po’ piu tardi infine – tra il 1608 e il ’19 – un altro artista messinese, Pietro Barbalonga, architetto e scultore, operò ad Amantea; dove aveva una bottega e finì per morirvi poco dopo.
Barbalonga, sempre nella Chiesa di S.Bernardino, eseguì una serie di sculture nella Cappella Cavallo; ed alcuni adornamenti nella Cappella dei Nobili: lavori di cui oggi rimane purtroppo quasi niente.
Quel che resta è invece il contributo che l’arte siciliana del ‘500 e del ‘600 ha lasciato dalle nostre parti: svolgendo un’opera di contaminazione stilistica che sarà appresa e fatta propria dagli artisti calabresi.
Un segno della vivacità che, pur in tempi così difficili, la Calabria ed il Tirreno Cosentino hanno saputo vivere. Rendendo unico ed originale il suo patrimonio d’arte.


Radio1One
(Venerdì 28 Dicembre 2007)

Dal Caos al labirinto

di Gaetano Bencivinni

Il Caos c’è sempre stato. E’ quanto afferma il filosofo Epicarmo nel primo frammento di sicura attribuzione, che ci è pervenuto. Noto commediografo, vissuto tra il 550 e il 450 a. Cr., Epicarmo ha certamente contribuito a creare quel clima culturale, ricco di spunti speculativi, che ha preceduto gli albori della democrazia in Grecia.
Pochi frammenti, che tuttavia contengono input significativi per ricostruire un pensiero filosofico impegnato a trovare le tecniche conoscitive opportune per tentare di dare una spiegazione ordinata del Caos.
Ordinare il disordine, classificare distinguendo il pari dal dispari, misurare le cose, cercando di cogliere l’ordito geometrico che attraversa la realtà caotica del Cosmo.
Nel giro di pochi decenni, nel tentativo di incanalare il Caos in forme razionali rigide, il pensiero greco ci regala il Teeteto, il Parmenide e il Sofista, dialoghi dialettici di Platone, che anticipano la logica formale contenuta nei Topici, nei Secondi analitici e nei Primi analitici del filosofo per eccellenza, il grande Aristotele, che diventerà per l’intero millennio medioevale l’ipse dixit.
Ma il Caos c’è sempre, come ha detto Epicarmo. Le strutture semplici non riescono ad inquadrare il disordine, che puntualmente smentisce le regole certe del pensiero scientifico. L’ideale si intreccia col reale e tentano insieme di incanalare il Caos in una dialettica lineare e progressiva. Non c’è nulla di definitivo. La realtà diventa dato di fatto per poi trasformarsi in un flusso complesso non catturabile. Il caos smentisce ogni certezza e rimette in discussione anche le regole del giuoco della scienza.
Controllabilità intersoggettiva, falsificabilità empirica, variazioni paradigmatiche, epistemologie alla ricerca del fondamento assoluto.
Occorrono strutture complesse, bisogna combinare gli elementi, occorre trovare nuove dipendenze interne. Il Caos ha ancora la meglio, perché il Caos c’è sempre.
Un nuovo labirinto si spalanca e richiede nuove categorie interpretative. Il vecchio filo di Arianna non riesce ad imbrigliare il Caos ribelle, che si riaffaccia prepotente per generare nuove trasgressioni. Non regge più neanche la realtà. Il vuoto prende il suo posto. Non ci resta che ricominciare, perché, come ha detto Epicarmo, il Caos c’è sempre.

MANCA L’INFORMAZIONE. QUELLA SERIA………………..

di Vincenzo Andraous

E’ di questi giorni la polemica sulla pubblicazione di alcune intercettazioni telefoniche, e soprattutto su come è condotta la televisione di stato.
“Un oltraggio alla civiltà del diritto” è stato sentenziato, un’offesa alla dignità della persona coinvolta ingiustamente, è stato affermato.
Intercettazioni e contrattazioni si sommano volgarmente, diventano gossip, peggio, terreno di conquista politica.
Le vittime designate non risulteranno i protagonisti della vicenda, bensì i soliti cittadini dal silenzio imposto democraticamente.
Insomma che la fa da padrona è la scolara ripetente a nome ingiustizia, anche la carta stampata non si sottrae a questo andazzo, e senza andare a parare sui paragrafi irreggimentati dei giornali di partito, è sufficiente dare un’occhiata su qualche quotidiano nazionale.
La recita è talmente intenzionale e persistente da indurre a credere che sia l’utente a richiedere notizie disegnate su fiumi di sangue, sparate dagli effetti speciali, sempre chi legge a preferire l’immagine dell’orrore a discapito di una obiettività che risiede nella realtà vera delle cose.
Tutto ciò è quanto meno suggestivo.
Fare informazione non contempla la misura o la ricerca di una patologia da soddisfare, piuttosto sta nel raccontare i fatti, belli o brutti che siano, ma i fatti e solo quelli.
Per esempio, illustrare lo svolgimento di un convegno sull’importanza di offrire occasioni di lavoro ai detenuti, perché ciò da un lato elimina l’innalzamento della famigerata recidiva, dall’altro è fonte certa per il ripristino della legalità e della sicurezza, non è cosa di poco conto, soprattutto se lo si fa licenziando con fermezza i toni buonisti.
Ma scriverne e titolare l’articolo usando la pratica della mazza e del tridente sguainati, con spreco di neretto e cubitale sul nome di qualcuno che vi ha partecipato, insieme a molti altri, solo perché personaggio dal passato vergato a tragedia, di cui da trent’anni sta pagando le conseguenze, è una dinamica pennivendola, atta solo a incuriosire chi il giornale non lo legge.
Questo tipo di libera circolazione dell’informazione non mi pare l’ingrediente fondamentale per sostenere che siamo in democrazia, soprattutto non mi sembra intellettualmente onesto che, per fare risultare quel giornale visibile e interessante, debba esprimersi-sprecarsi in furbizie, piuttosto che spendersi con argomentazioni complete, sintetiche, ordinate.
Non è l’utente a richiedere al giornalista di stilare articoli o immagini scatenanti impulsi animali, credo invece sia l’esatto contrario, un certo professionismo giornalistico a creare e alimentare se stesso, attraverso la divulgazione del morboso, del male che banalmente affascina, senza rendere giustizia alla informazione, quella seria

mercoledì 26 dicembre 2007

Profilo d’Edoardo Galli: archeologo calabrese

di Carlo Andreoli


Una figura importante del panorama culturale del Tirreno Cosentino, ed in attesa ancora d’una meritoria riscoperta, mi pare sia quella d’Edoardo Galli.
Galli nacque, infatti, a Maierà nel 1880; e fu uno dei più valenti archeologi che, non solo la Calabria, ma l’Italia tutta del primo ‘900 abbia avuto.
Dopo la laurea in lettere all’Università di Roma, Galli nel 1907 assume già l’incarico di Segretario nel Museo Nazionale di Firenze; città dove rimane fino al ‘23. Del periodo fiorentino, tra i tanti contributi di ricerca ch’egli svolse, si segnala soprattutto una serie di scoperte e messe a punto del sito archeologico di Fiesole; di cui lasciò, non a caso, una pregiata guida degli scavi e del museo.
E proprio in grazia dei suoi meriti scientifici, nel ’23 gli viene conferita la libera docenza presso la Cattedra d’Archeologia dell’Università di Pisa.
Ma in tale anno, sopraggiunge pure un altro incarico importante per la sua carriera. Essendo stata istituita la Soprintendenza ai Monumenti della Calabria e della Lucania, egli ne diviene infatti il primo titolare: rimanendovi fino al ‘36.
Sono anni in cui Edoardo Galli getta le basi della ricerca archeologica in Calabria e Lucania: occupandosi, tra l’altro, delle Tavole Palatine di Metaponto, del restauro della Cattedrale di Tropea, del Duomo di Cosenza, del patrimonio d’arte del Santuario di Paola, delle chiese bizantine di Rossano. Fino a dare un impulso decisivo alla riscoperta dell’antica Sibari, di cui fu senz’altro l’artefice; e fornire un primo contributo critico alla ricerca di Laos: territorio che peraltro gli era noto fin dalla giovinezza.
Come Soprintendente ai Monumenti della Calabria, Galli ha pure il merito assoluto d’aver fondato e istituito nel 1932, su progetto di Marcello Piacentini, il Museo Nazionale di Reggio Calabria; dov’è oggi raccolto il più grande patrimonio archeologico della Magna Grecia.
Nel ’36 s’inizia, quindi, un’altre fase importante del suo lavoro d’archeologo: giacché infatti viene chiamato all’incarico di Soprintendente ai Monumenti delle Marche, dell’Umbria e dell’Abruzzo. Rimanendo, nella sede d’Ancona, fino al ‘47; dove ha modo di riordinare per intero il Museo Nazionale delle Marche.
Dal ’47 fino al ‘56, infine, anno della sua morte, vive a Roma: operando presso la Biblioteca dell’Istituto d’Archeologia e Storia dell’Arte; dove raccoglie materiale di prima mano per i suoi tanti saggi ed articoli scientifici.
Insomma, già dal breve profilo tracciato, s’evince d’aver di fronte una personalità di grande spessore; che ha segnato un’epoca intera di studi e tracciato sentieri su cui altri archeologi, come Enrico Paolo Arias, sono passati dopo di lui.
E d’una tale figura sarebbe forse opportuno tentare oggi un recupero; facendo un bilancio del suo lavoro scientifico e dei suoi tanti interessi che collimavano pure con la storia civile e la filologia; come mostra la famosa cronaca del Frugali della Cosenza del ‘600, ch’egli scoprì e diede alla stampe nel ’34. Così da definire, quindi, non solo l’immagine dell’archeologo; ma anche quella dell’uomo che sempre cerca qualcosa. E molto spesso la trova; illuminando il nostro passato, per farci luce nel presente.


Radio1One
(Venerdì 21 Dicembre 2007)

lunedì 17 dicembre 2007

Giovan Bernardo Azzolino a Cetraro e Scalea

di Carlo Andreoli


Si dice spesso che l’arte serve pure ad accomunare i popoli. E due belle cittadine del Tirreno Cosentino – Cetraro e Scalea – si trovano ad essere accomunate da un singolare legame d’arte che non esito a svelarvi.
Di fatto, hanno in comune l’autore di due pale d’altare; in due chiese molto note d’entrambe le città: la Chiesa dei Cappuccini di Cetraro e la Chiesa di S. Nicola di Scalea.
Dico subito che l’autore in questione si chiama Giovan Bernardo Azzolino.
Era un siciliano, trasferitosi a Napoli verso la fine del ‘500; e lì, nella capitale d’arte del meridione d’Italia, ebbe una fortunata carriera. Sicché lasciò molti lavori in grandi chiese di Napoli; ma tanti altri ne fece pure per le Province del Regno: la Puglia, la Basilicata e la Calabria per l’appunto. Faceva parte della schiera dei pittori tardo-manieristi, come si suole chiamarli: cioè di quelli che, indifferenti alla pittura nuova introdotta a Napoli da Caravaggio nel primo decennio del ‘600, rimasero fedeli ad un ideale d’arte classica, elegante nelle forme, devota e un poco statica nella posa delle figure.
A Cetraro, l’Azzolino ha lasciato uno splendido polittico; che vede, al centro, una Madonna degli Angeli, dipinta con colori d’impasto raffinato, ed ai lati una serie di Santi: fra cui spicca un Sebastiano dal bellissimo incarnato. Un’opera che risale forse al 1635, quando il Convento dei Cappuccini prese ad essere abitato dai frati.
A Scalea, si trova invece sull’altare maggiore della Chiesa di S. Nicola una tela della Madonna del Carmelo, eseguita intorno al 1615; che è adorata da un S. Nicola di Bari, che tiene per il ciuffo un popolaresco fanciullo coppiere, e da un S. Carlo Borromeo che indossa una vivace mozzetta rossa. Nel dipinto di Scalea, sono poi di singolare efficacia, i ritratti dei due Principi Spinelli, ripresi con gorgiera ed armatura, che mostrano la sicurezza del disegno e la sapienza del dettaglio di cui Azzolino era capace.
I lavori calabresi di questo Maestro del Manierismo Napoletano sono invero pochi: se ne conosce infatti un altro, a Taverna, ch’era tenuto in grande stima da Gregorio Preti, fratello del più famoso Mattia; e qualche altro, a Paola e Vibo Valentia, che gli viene dubbiosamente attribuito.
Motivo in più per esser fieri, quindi, d’avere dalle nostre parti due suoi lavori di certa attribuzione: in quanto la sua pittura, compunta e ricercata, è sempre più apprezzata dagli appassionati d’arte e dai collezionisti.
E se i lavori eseguiti dall’Azzolino nelle chiese di Napoli sono oggi piuttosto noti; la sua produzione calabrese attende ancora il dovuto riconoscimento.
E questa mi pare sia una ragione buona, come tante, per far conoscere sempre più ed apprezzare i nostri beni artistici ed i luoghi che hanno il pregio d’ospitarli.


Radio1One
(Venerdì 14 Dicembre 2007)

giovedì 13 dicembre 2007

Ciampa e L'imperatrice

di Tiziana Ruffo

Lunedì 10 dicembre alle ore 15,30, a Palazzo Vattimo si inaugura la mostra personale di Marcello Ciampa . Il tema è l’imperatrice, riferito in particolare alla donna al potere. La mostra rappresenta l’occasione per ripercorrere lunghi anni di ricerca di Marcello Ciampa all’interno di un progetto a lungo meditato, in un serrato colloquio con l’arte e la realtà locale, la storia di un territorio . Già artigiano del legno Ciampa valorizza la manualità colta che equipara alla creatività intellettuale ritenendo che siano due aspetti sinergici della creatività umana. L’itinerario porterà il visitatore a carpire il filo conduttore di un percorso, in cui emerge la complessità e la ricchezza culturale del pittore, il suo metodo progettuale, la costante riflessione sul linguaggio e sulla tecnica nella sua storicità. “La pittura come la scrittura- dichiara Ciampa- quello che si dipinge deve essere chiaro e non camuffato da astrattismi”. Un linguaggio graffiante, di denuncia e spesso provocatorio tra l’altro quello dell’artista. Un artista noto per il suo impegno sociale: negli anni 80 ha prodotto opere contro la mafia e ha dedicato alla memoria di Giovanni Losardo (militante comunista assassinato il 21 giugno 1980) la nota scultura “Il Cristo sofferente”. ( Gazzetta del Sud, 08.12.2007)

domenica 9 dicembre 2007

Paola: un esempio d'urbanistica barocca

di Carlo Andreoli

A partire da oggi, ogni venerdì, avremo modo di parlare delle risorse d’arte del Tirreno Cosentino, e di quanto è loro affine; offrendo una panoramica veloce ma esauriente della loro varietà.
Ma, anzitutto, bisogna chiedersi come sia possibile riconoscere al territorio costiero una sua singolarità che lo renda unico tra tanti.
Credo che il modo migliore per evidenziare la specificità del Tirreno Cosentino – rispetto ad altri comprensori – sia di far rilevare come all’interno di esso trovino luogo espressioni d’arte propria, che riassumono in maniera singolare la sua storia civile.
Se prendiamo, ad esempio, la città di Paola, troviamo, nel cuore del suo centro abitato, un episodio d’urbanistica barocca che mostra tratti d’assoluta originalità; non riscontrabili altrove.
Appena varcata la Porta di S. Francesco, si penetra, infatti, in una piazza – l’attuale Piazza del Popolo - che evoca, nella stessa dislocazione degli spazi, un ambiente tipicamente barocco.
Al centro, è una grande fontana in pietra; e, lungo i lati della piazza, sontuosi palazzi con balconi sorretti da mensole a volute e ringhiere in ferro battuto. Sopra un antico varco d’accesso alla città, s’ erge quindi la Torre dell’Orologio; che si continua nella mirabile facciata della Chiesa di Montevergine, ricca di bassorilievi figurati: opera dell’architetto Niccolò Ricciulli che, dell’arte calabrese del ‘700, fu rappresentante insigne.
Come accadeva nell’urbanistica barocca, che tendeva ad aprire nuovi spazi nell’intrico delle città medievali, la piazza si pone poi come elemento nodale d’altri punti focali dell’abitato.
Sicché da essa, si diparte il bel Corso Garibaldi; che i cronisti del ‘700 già notavano come strada animata, pavimentata da bei lastroni in pietra; e lungo la quale, per un certo tempo, si correva anche un palio cittadino.
Alla fine del Corso, troviamo quindi un altro complesso architettonico che segna, in maniera precipua, il fervore di vita che la società di Paola si trovava a vivere lungo il corso del ‘600-‘700.
Ed è il Collegio dei Padri Gesuiti che fu voluto per dare un nuovo impulso educativo alla città che in quegli anni vedeva maturare una crescita notevole del proprio stato sociale e culturale. Basti solo pensare a figure insigni ch’essa ha avuto come Giuseppe Maria Perrimezzi, esponente di spicco della Chiesa calabrese, ovvero a un musicista come Giuseppe Avossa che fu Maestro di Cappella prima a Pesaro e poi a Napoli. A fianco del Collegio dei Padri Gesuiti sorse poi, e la ritroviamo ancora oggi ben curata, la Chiesa del Rosario: che è uno dei pochi esempi d’architettura gesuitica in Calabria presso che conservata nelle sue forme originali. Dove si possono ammirare opere di particolare pregio: come il presbiterio, ricco di fregi dorati, lungo il quale corre una serie di medaglioni che ritrae esponenti dell’Ordine Gesuitico, ovvero uno splendido tondo della Madonna della Purità: opera del pittore fiammingo Dirck Hendricksz.
Insomma, visitando già questo breve tratto del centro storico di Paola, s’ha modo di cogliere non solo e non tanto singoli brani d’arte ma un intero assieme, dotato d’una propria coerenza stilistica. Impresa che peraltro fu voluta, nella sua concezione almeno, da Tommaso Francesco Spinelli, marchese di Fuscaldo e Signore di Paola.
Il quale ebbe l’animo di ridisegnare per intero una parte importante della Città di Paola; infondendole un aspetto caratteristico e unitario. E di cui noi, oggi, a patto che non siamo distratti d’altre cose, riusciamo ancora a cogliere l’essenza.
Rivendicando, come si diceva prima, un bell’esempio d’urbanistica barocca al Tirreno Cosentino.

Radio1One
(Venerdi 7 Dicembre 2007)

sabato 1 dicembre 2007

Evviva la libertà di stampa, ma...

di Luigi Panfili




Un grande problema ci si deve porre oggi in Italia: è un interrogativo cui è difficile rispondere, ma è un punto che è necessario trattare – ancor più alla luce degli eventi più recenti della cronaca politica – per far chiarezza su cosa si intenda per libertà di stampa e di cronaca.
La questione è semplice: la libertà di stampa è un diritto fondamentale illimitato oppure deve in taluni casi ritrarsi in favore di altri princìpi, anche questi fondamentali, che spesso nella pratica quotidiana vengono col primo a collidere? In sostanza, mi chiedo, si tratta di un diritto assoluto, sconfinato e per tanto definibile come un “superdiritto”, o – piuttosto – questo non deve essere rapportato, relazionato, raffrontato, relativizzato con altri basilari princìpi dell'Ordinamento repubblicano? A me interessa qui in particolare il rapporto tra il diritto alla cronaca e il processo penale.
Prendo subito posizione sul dilemma, e spiegherò quindi i motivi che fondano la mia scelta. Per me è necessario che alla libertà di stampa facciano da corollario almeno altri due princìpi. Il primo: la presunzione di innocenza; il secondo: la riservatezza di fatti che attengono alla sfera del personale e personalissimo. Ogni giorno vediamo quotidiani a tiratura nazionale e programmi televisivi che “sbattono” in prima pagina i contenuti di intercettazioni telefoniche riguardanti fatti privati; illustrano dinamiche interne ai Palazzi di Giustizia che di veritiero hanno spesso molto poco; ci informano su presunti litigi e divergenze di vedute tra pubblici ministeri; ci mostrano in prima serata esperti di ogni materia che dissertano su gli argomenti più gravi e seri con la stessa tensione morale con cui si svolge una una conversazione da thé.
Il più delle volte tutto si rivela una montatura (fatta di proposito per aumentare le vendite: è infatti sempre il profitto e l'interesse che muove il mondo giornalistico), altre volte è tutto vero, ma con ciò si violano palesemente i segreti istruttorii e d'ufficio (necessari alle indagini), nonché la privacy (diritto di prim'ordine che spetta all'imputato). In una parola, viene meno il sacrosanto diritto alla riservatezza. Ora è necessario fare una distinzione tra ciò che il diritto di cronaca è, e ciò che invece è nient'altro che una illecita, impropria e – a mio avviso – poco salutare intromissione in fatti altrui. Recentemente si è verificato il caso delle intercettazioni UNIPOL: documenti “segretati” che – offerti alla consultazione dei legali di parte – sono finiti (nonostante numerose cautele predisposte dal magistrato competente) pubblicati sui quotidiani del giorno dopo. Se si guarda al passato si scopre che questo malcostume non è di origine recente. Penso alla fuga di notizie dall'Ufficio Istruzione penale di Palermo che nel novembre 1985 a momenti non pregiudicava l'effettuazione della vasta operazione di polizia di poco antecedente l'inizio del “maxiprocesso”a Cosa Nostra. In una notte furono impiegate tutte le stampanti e le fotocopiatrici del Palazzo di Giustizia palermitano per preparare gli atti necessari all'arresto di oltre trecento persone e cercare così di anticipare la stampa, che – avendo ricevuto notizie riservate – sicuramente le avrebbe divulgate il giorno dopo, mettendo in allarme i destinatari dei provvedimenti.
Ora, dico io, questi esempi sono già un andare oltre i limiti della libertà di stampa e di cronaca. Non si deve consentire – infatti – ai giornalisti (o chi per loro) di pregiudicare i risultati di chi – svolgendo la propria professione al servizio dello Stato (magistrati), o nell'interesse dei singoli (avvocati) – abbia necessità di mantenere segreto il frutto del proprio lavoro. E' questo il caso specifico del processo penale italiano, nel quale si assiste ad un progressivo ed inesorabile venir meno delle più elementari garanzie democratiche. Oggi una persona che riceva un avviso di garanzia è già condannato dal “circo mediatico”; figuratevi poi se si riceva un ordine di custodia cautelare in carcere: apriti cielo, si è già pronti con la forca! “Se va in carcere, è certamente colpevole”, è il ragionamento di molti. La stampa, certa stampa, dimentica troppo spesso il principio fondamentale della presunzione d'innocenza, in favore delle maggiori vendite e profitti che una campagna mediatica senza esclusione di colpi e morbosamente attaccata alla foto rubata, all'intercettazione carpita, ad ogni modo colpevolista garantirà al quotidiano (o alla rete TV, è lo stesso).
Potrebbe essere in tal senso appropriato quanto meno ricordare al lettore la vicenda del “caso Tortora”, laddove si condannò il popolare conduttore televisivo prima ancora che in un'aula di tribunale, sulla stampa e in televisione: tutto si dimostrò sbagliato solo in seguito. Ma chi ripagherà mai Tortora del danno subito e della salute rovinata?
E allora, ritornando al discorso generale sulla libertà di stampa, mi viene da sorridere quando sento dire agli avvocati penalisti che oggi le comunicazioni dalla Procura ai propri clienti le si leggono prima sul quotidiano e solo in seguito le si ricevono notificate nel proprio studio sulla carta intestata dell'ufficio; mi chiedo dunque: ma è questa una cosa giusta? E' questo sistema normale in un paese democratico? La libertà di stampa e il diritto di cronaca sono importanti, fondamentali, sono il sale della democrazia. Ma si devono fermare dinanzi a due princìpi di ben più grande portata: la presunzione d'innocenza, tale per cui non si è colpevoli se non dopo un giusto processo regolato dalla legge che abbia accertato la responsabilità; e la riservatezza, che necessariamente deve coprire un certo tipo di atti o un certo lasso di tempo, per non pregiudicare i risultati del lavoro di tanti “operatori del diritto” penale. Difatti, a che cosa serve affermare con tanta altisonanza il diritto alla privacy, se poi – di fronte alla logica del profitto – si china il capo e non si esita a pubblicare notizie le quali – quando non false e tendenziose – giudicano un processo che non è quello giurisdizionale, previsto dalla Costituzione, ma è un vero e proprio processo mediatico? E' invece molto scorretto che certa stampa e certa televisione usi la libertà di stampa e il diritto di cronaca quale grimaldello per scardinare qualsiasi genere di critica, immediatamente bollata come anti-democratica e incostituzionale, e mascherare così i maggiori profitti e il più fiorente business che con quella dissennata campagna stampa o con quello sconsiderato servizio televisivo si vanno a conseguire, in barba alla presunzione di innocenza e al diritto alla privacy.
Pertanto evviva la libertà di stampa, purché questa sia sana e rispettosa, però. Non rispettosa di qualcuno, per carità; bensì rispettosa dei princìpi legali e prima ancora morali, che impediscono di trasformare in business mediatico le pene e le disgrazie patite da chi – colpevole o peggio ancora innocente – abbia a che fare con un procedimento penale. E' in ciò che consiste quel quid che differenzia un paese realmente democratico da una Repubblica delle Banane.

venerdì 30 novembre 2007

INTERVISTA A MARTIN RAHMLOW, VINCITORE DEL PREMIO SIMONA GESMUNDO CORTI D’ANIMAZIONE 2007 PER LA SEZIONE “DIGITALE”

di Francesca Villani

Hai preso ispirazione da qualcosa o qualcuno per il tuo film?
Il titolo “Anguille” è ispirato a una scena del romanzo di Gunther Grass, “Il tamburo di latta”, in cui alcuni uomini pescano anguille con una testa di cavallo mozzata. La conversazione tra il Viaggiatore e la Guerra, in uno sfondo surreale e angosciante, ricorda in qualche modo la Divina Commedia, direi. Il modello del personaggio del Viaggiatore si ispira alle sculture di Giacometti e per il paesaggio martoriato dalle bombe ho guardato le fotografie e i disegni di Otto Dix sulla Prima Guerra Mondiale.

Il film ha richiesto una lavorazione di quasi quattro anni, dall’idea iniziale al prodotto finito. Perché?
Intanto è un film in 3D che dura ben 17 minuti con 5 personaggi e cinque ambienti diversi. Prova a realizzarlo in minor tempo! Scherzo, ovviamente, ma bisogna ricordare che si tratta del lavoro di uno studente: non si ha a disposizione una filiera di produzione come in un vero studio di animazione; e si impara mentre si crea, si fanno errori, ed è necessario tornare indietro due o tre volte per correggerli.

Chi è “il viaggiatore”?
Sei tu. Potrebbe essere chiunque, perché tutti sono alla ricerca della fortuna.

Dedicarti all’animazione è stata per te una scelta, una passione, un lavoro o ci sei entrato per caso?
E’ stata una punizione! Ma ho sempre amato disegnare e adoro le storie, perciò l’animazione sembra una buona scelta nel mio caso.

Quali sono le tue radici culturali?
Sono nato e cresciuto a Kiel, sul Mar Baltico, una regione ricca di storia e di cultura. Qui ci sono le meravigliose città della storica Lega Anseatica e dei paesaggi spettacolari.

L’animazione digitale è secondo te una questione di tecnologia oppure è un’arte?
E’ piuttosto uno strumento, come una matita. Ma oggi viene ancora usato in una maniera piuttosto tradizionale, conservatrice. Niente di male, certo, ma credo che in futuro ci sarà spazio per approcci più originali e indipendenti.

Il tuo film è molto romantico, nel senso letterario del termine. Sei d’accordo con questa opinione?
Sì e no. Dipende dalla tua prospettiva. Se lo guardi con gli occhi della Guerra, per esempio, sarebbe meglio definirlo patetico.

Qual è il messaggio del film, se c’è?
Potrei rispondere a questa domanda con una sola parola oppure con pagine intere. Mi sembra più giusto lasciare la cosa all’interpretazione individuale.

A cosa stai lavorando adesso? Hai nuovi progetti nel campo dell’animazione oppure il tuo film è stato semplicemente un gradino verso qualcos’altro?
Al momento sto lavorando all’Università di Volda, in Norvegia, come insegnante di Maya (software per la modellazione, l'animazione, gli effetti e il rendering 3D, n.d.r.). E ho appena iniziato a scrivere la sceneggiatura per un nuovo cortometraggio.

Come ti immagini il futuro del cinema d’animazione? Che rilevanza ha nel tuo paese? E’popolare tra i giovani?
Mi chiedo se i grandi studi di produzione statunitensi continueranno a produrre film di intrattenimento per famiglie, storie con personaggi di peluche che devono imparare ad accettarsi l’un l’altro, oppure se nel futuro si tenterà di fare dell’altro. In Germania il cinema d’animazione ha una rilevanza solo in relazione all’intrattenimento spettacolo per bambini.

INTERVISTA A IRINA LITMANOVICH, VINCITRICE DEL PREMIO SIMONA GESMUNDO CORTI D’ANIMAZIONE 2007 PER LA SEZIONE “DISEGNO ANIMATO”

di Francesca Villani

1. Hai preso ispirazione da qualcosa o qualcuno per il tuo film?
Quando cominciai a studiare animazione al Corso Superiore per registi e sceneggiatori a Mosca, dovetti scegliere una storia per il mio futuro film di diploma. Avevo alcune idee, ma la mia passione più forte fu di scrivere un film basato su una storia ebraica, dove avevo vissuto in passato. Andai in biblioteca a cercare del materiale. Lessi diverse favole ebraiche; poi incontrai un responsabile della biblioteca e gli parlai del mio lavoro. Lui mi mostrò questa poesia. Voleva pubblicarla in un libro sui sette saggi di Khelom. La lessi e decisi che questa sarebbe stata il mio film.

2. Ci parli del processo di lavorazione del tuo film, dall’idea iniziale al prodotto finito?
E’ un processo lungo, difficile e doloroso. Ogni film inizia con un’idea o con un sentimento che porta alla realizzazione di questa idea. Da un’immagine o due che si hanno molto chiare in mente. Come un paesaggio che si vede attraverso una finestra della casa che stai visitando per la prima volta. Quando ho letto questa poesia per la prima volta ho “visto” questi sette vecchi seduti in una piccola stanza buia a pensare a cose molto semplici. Li ho visti andare al collegio. Uomini diversi, ognuno con il proprio fato e la propria vita, che cercano di decidere al posto di altri che non sanno cosa fare. Come dubitano, discutono e trovano l’accordo. E infine giungono alla decisione. Felici di averlo fatto. Come me, in diverse fasi della vita.
Ho scritto la sceneggiatura di questa poesia, che è andata cambiando durante tutta la stesura del film. Ma alcuni dettagli sono rimasti – come il topolino che salta fuori dall’orologio.
I personaggi sono diventati figure vive e vicine a me. Ho cominciato a disegnarli in situazioni, pose ed espressioni diverse. Ho fatto diversi schizzi del villaggio di Khelom. Delle persone che ci vivevano. Con il mio insegnante abbiamo sviluppato i loro movimenti, le posture, le emozioni. Contemporaneamente lavoravo allo storyboard del film. Ho cercato di trovare la struttura del film: il ritmo, i tempi e il contenuto di ciascuna scena. Dopo aver completato la prima parte –lo storyboard del primo collegio, allora il film cominciò a esistere di vita propria.
Insieme al disegno e allo storyboard bisognava anche pensare alla tecnica e alla parte musicale del film. Come rendere questi personaggi maneggiabili, vivi come nei bozzetti – in molti casi i personaggi animati ed il loro mondo perdono la loro attrattiva via via che il film viene realizzato. In questa fase ho sfruttato i consigli di Y.B.Norshtein, di cui avevo scelto la tecnica delle carte ritagliate per il mio film. Egli mi spiegò il materiale da usare per costruire i personaggi, che pittura usare per lo sfondo – dettagli che sono veramente importanti per utilizzare questa tecnica. Quando ho iniziato a girare, Igor’ Skidan-Bosin – fantastico cameraman – ha contribuito con la luce e l’atmosfera giusta. E’ stata una vera fortuna lavorare con maestri di questo livello.
Per quanto riguarda la musica, abbiamo lavorato assieme io e mio padre, che vive in un’altra città (Voronezh). Gli ho mostrato la poesia e lui ha subito composto le musiche. E’ una cosa fantastica – lui può aprire un libro di poesie e suonare, come fosse musica scritta. Ogni volta che c’era qualche scena nuova, mi chiamava per farmela ascoltare per telefono. La musica è cambiata insieme al film. La versione finale alla fine delle riprese era molto diversa rispetto all’inizio.
E dunque, è un processo molto complicato, che dipende dal materiale che viene scelto per il film. Ma sicuramente tutto comincia dal sentire un’idea, che si sviluppa poi in una sceneggiatura e uno storyboard che contiene tutto il mondo del film con i suoi suoni e la sua musica.

3. Il tuo cortometraggio si basa su una poesia russa in Yiddish, ma si legge anche come una favola per bambini. Cosa ti ha affascinato particolarmente nello scegliere questo soggetto?
E’ proprio così: da un lato si tratta di una storia semplice, che ogni bambino può capire, dall’altro riguarda anche gli adulti. Per i bambini molte cose sembrano chiare perché essi credono a cose impossibili, a differenza degli adulti. Ecco perché i bambini amano i cartoni animati: un’altra realtà è migliore della vita quotidiana. Nel mio film ho cercato di rendere il mondo interessante per tutti. Non dipende solo dalla storia , ma anche da una scelta artistica. Sarebbe stato possibile disegnare in maniera più semplice, come sono fatti molti cartoni animati, ma per me non sarebbe stato interessante. Nel cinema d’animazione è possibile creare un mondo che è metafora della vita reale. E’ poesia da guardare ed ascoltare. In questa storia, le persone hanno sempre qualche sorta di problema. E vanno in cerca di aiuto da altri uomini, più saggi. Ma anche i saggi sono uomini e possono perdere la pazienza. E’ come un circolo vizioso – appena si trova la soluzione ad un problema, ne viene subito un altro. La storia mi è sembrata l’ideale metafora dei casi della vita. E’ ben noto che un autore può rispecchiare la propria vita e il proprio approccio ad essa nel suo lavoro. Se questo approccio trova risposta in altre persone, si può dire di essere fortunati.

4. Dedicarti all’animazione è stata per te una scelta, una passione, un lavoro o ci sei entrato per caso?
Quando ero a scuola, c’era l’usanza di far compilare dei questionari agli alunni. Era sempre presente la domanda: quale professione vorresti fare da grande? Io scrivevo sempre due cose: artista d’animazione o stilista. Quest’ultima, per accontentare mia madre. Ricordo una mostra a Voronezh – la città in cui ho vissuto per 14 anni e in cui ho finito la scuola. Lo studio di Mosca “Souzmultfilm” esponeva diverse immagini, sfondi e personaggi dei miei film preferiti. Uno era “Vinnie the Pooh” di F.Khitruk .Chi avrebbe immaginato che sarebbe stato uno dei miei maestri! Stentavo a credere che questi personaggi fossero di carta o di celluloide. Per me erano vivi. Fu uno shock. Così cominciai a pensare che anch’io avrei potuto disegnarli. Capii immediatamente come poter realizzare un film. Specialmente quando la tv cominciò a mandare in onda i cartoni Disney tradotti in russo.
Poi me ne dimenticai per alcuni anni. Volevo fare la pittrice. Andai a Gerusalemme, feci recitazione in un teatro e studiai all’accademia d’arte per due anni . Al terzo anno dovetti scegliere la specializzazione per il biennio successivo. E scelsi animazione. Mi sono diplomata con il film “La lettera” basato su una novella di Daniel Kharms. Lo mandai al festival internazionale di “Krok”, che si tiene su un battello a vapore. Fui invitata a partecipare per Israele: lì conobbi tutti i maestri dell’animazione russa e decisi che sarei tornata a Mosca per studiare lì in questo settore. Quindi, in parte è stata una scelta, in parte un caso. Penso che in ogni mestiere, quando lo si ama, questi ingredienti –passione, scelta e caso- funzionino insieme.


5. Quali sono le tue radici culturali come regista d’animazione?

Tutto gioca un ruolo nella formazione professionale di una persona: la gente che si incontra, il paese in cui si vive, gli amici, i libri, i film, gli spettacoli, la musica – tutto ciò che entra nella sfera della percezione e della comprensione.
Posso sicuramente dire si essere stata influenzata da personaggi importanti in diversi ambiti artistici. I film di Chaplin, Tarkowsky e Fellini sono molto significativi per me. Artisti - Rembrandt, Caravaggio, Degas e Monet, Pavel Fedotov. Scrittori – Bulgakov e Dostoevsky. Musicisti – Bach, Nino Rota e Chaplin. Nell’arte dell’animazione – Y.Norshtein. Ne potrei citare molti di più. La cosa principale per questi artisti e tirare fuori i sentimenti delle persone, trovando le immagini artistiche essenziali di eventi, di persone, di tempi. Questo per me è interessante nell’arte.
Tutto quello che so fare oggi lo devo alle persone che ho incontrato e ai miei genitori, che hanno dedicato molto tempo alla mia crescita e alla mia formazione sin dall’infanzia. Alla scuola d’arte di Voronezh avevo un’insegnante che si chiamava E.A. Petrova. Avevamo dodici anni quando cominciammo a studiare, ma lei ci trattava già da adulti. Perciò dovevamo comportarci bene: era una vergogna se disegnavamo male.
A.Zagorodnyh è artista e direttore di uno studio che frequentai finita la scuola. Ad una sua mostra vidi un piccolo acquerello intitolato “Horizontal” – mi piacque così tanto che avrei venduto il mio pianoforte (secondo me quello era l’oggetto più prezioso che avevamo in casa). Poi quando mi convinsi che non era possibile, mi accontentai di conoscere l’artista e cominciai a fare apprendistato nel suo studio. Prima della mia partenza per Israele, mi disse.” Ira, conosci tutte le mie opere. Voglio farti un regalo: scegline una! “ E io scelsi “Horizontal”.
In Israele ho incontrato tante persone meravigliose che mi hanno aiutato molto in questo nuovo paese – potrei scrivere tanto su di loro. Ho recitato per cinque anni al teatro “Mikro” di Gerusalemme. La direttrice di questo teatro, I. Gorelik, è la mia prima maestra di vita e nell’arte. Tutti gli anni in Israele sono stati in stretto contatto con le sue opinioni.
Durante i due anni del Corso Superiore per Registi a Mosca, ho parlato con molte persone, viste sino ad allora solo in televisione. F.S.Khitruk , Y.B.Norshtein e V.P.Kolesnikova mi hanno insegnato a realizzare film animati. V.P.Kolesnikova mi ha insegnato il movimento- il cuore dell’animazione. Senza di esso i personaggi non potrebbero muoversi sullo schermo. Quando le si chiede chi è l’animatore lei risponde “un attore che disegna”. In questo senso, la mia esperienza teatrale mi aiuta molto nella realizzazione dei film.
Parlare di “radici culturali come regista di animazione” è complesso perchè è una cosa globale. E’ come analizzare un cammino di vita. A me riesce di rendere un’idea più vera di questa analisi nelle mie opere.

6. L’animazione digitale è secondo te una questione di tecnologia oppure è un’arte?
L’animazione è un’ arte. “Digitale” significa semplicemente che si possono utilizzare mezzi digitali, come il computer o la telecamera. Sono soltanto degli strumenti che ti permettono di realizzare qualcosa.

7. Il tuo film è attraversato da un filo di ironia. Puoi spiegare il senso del ballo finale dei personaggi?
Il senso è che non sempre la gente riesce a trovare immediatamente la soluzione ad una situazione difficile. Anche il più saggio dei saggi. Ma quando si ha la gioia di vivere, è una festa e tutte le difficoltà sono dimenticate e smettono di esistere. Almeno temporaneamente. Le danze accompagnano ogni festeggiamento nella tradizione ebraica. E anche a me piace la danza.

8. Qual è il messaggio del film, se c’è?
Non ho voluto cercare alcun messaggio. Ho solo raccontato una delle storie della gente di Khelom.

9. A cosa stai lavorando adesso? Hai nuovi progetti nel campo dell’animazione oppure il tuo film è stato semplicemente un gradino verso qualcos’altro?
Sto lavorando a diversi progetti, relativi all’animazione e non solo. Disegno, creo animazione per i film degli altri. Non molto tempo fa ho cominciato ad insegnare animazione ai bambini.
Ho delle idee che mi piacerebbe realizzare. Una è un film basato sui miei ricordi di infanzia e sui racconti dei miei genitori. Vari avvenimenti divertenti accaduti dall’età di tre anni e ho vissuto prima a Leningrado, poi a Rostov sul Don e Voronezh. Una delle cose più importanti da ritrarre in un film sarà anche la vita a Gerusalemme, e più tardi a Mosca. Mi piacerebbe catturare il tempo, e me dentro di esso, dove ho vissuto e vivo ora, le persone che incontro e a cui trasmetto la poesia di questi luoghi – dei “Life Sketches”.
Un’ altra idea è basata sulle favole e i racconti sui sette saggi di Khelom. Non sarà la continuazione del film precedente, ma piuttosto l’evoluzione degli stati d’animo dei saggi in varie situazioni, divertenti, tristi, commuoventi in cui si trovano. E dopo il mio viaggio a Roma, vorrei ambientare lì una storia sui sette saggi. Sono rimasta molto colpita dal Ghetto e dalla sua atmosfera. Sarebbe interessante collocare questi sette vecchi ebrei al tempo dell’Impero Romano e sviluppare un viaggio nel tempo e nei diversi luoghi del mondo.
E ancora, c’è una storia di I. B. Singer. Un film che riguarda la vita che continua dopo la morte, perché i nostri cari sono sempre vicini quando ne abbiamo bisogno.
Infine l’idea di girare un film ispirato a un racconto di I.L Peretz. Si tratta di una parabola, basata su una storia fantastica, di una capra che riusciva a catturare le stelle con le corna. Mi interessa capire qual è la vera causa della felicità per gli esseri umani.
E’ molto difficile trovare i finanziamenti ai propri progetti. Per ora sto sviluppando queste idee in casa. Certo mi piacerebbe girare i miei film senza dover dipendere da un altro studio di animazione a Mosca, ma questo significa avere un produttore ed uno studio personale.

10. Come ti immagini il futuro del cinema d’animazione? Che rilevanza ha nel tuo paese? E’popolare tra i giovani?
Fino all’inizio degli anni ’90 in Russia (ex Unione Sovietica), c’erano finanziamenti pubblici per il cinema d’animazione. Questo significava doversi solo concentrare sugli aspetti creativi. Per questo motivo, fu fondata una grossa scuola d’animazione , lo studio “Souzmultfilm”, che sfornava 36-40 film l’anno. Inoltre, i finanziamenti arrivavano indipendentemente dal successo economico, perciò tutti questi film erano fruibili comunque, e diversi per tecnica e stile. I.P.Ivanov-Vano, R.A.Kachanov, F.S.Khitruk, Y.B.Norshtein, E.V.Nazarov, A.Y.Khrzhanovsky, G.Y.Bardin, V.M.Ugarov- molte generazioni di bambini sono cresciute con i film di questi maestri e molte generazioni di studenti hanno appreso da loro.
Oggi molti registi realizzano film o intere serie coperte da una distribuzione per il cinema e la televisione. L’interrogativo fondamentale è quanto spettacolari riusciranno ad essere e come saranno recepiti da un grande pubblico. Il finanziamento statale è limitato. I cortometraggi d’autore non hanno potenzialità commerciali e non interessano ai distributori. Questo è il motivo per cui i registi indipendenti devono attendere a lungo i finanziamenti statali o trovarsi un produttore. Non è facile convincere chi ha i soldi a investire nel tuo prodotto, senza sapere quale profitto ne trarrà.
I nuovi film animati d’autore trovano spazio nei festival, in programmi specializzati, in alcuni cinema o in internet - http://vision.rambler.ru/cartoons/.
C’è un sito che contiene tutte le informazioni sul cinema d’animazione russo: registi, sceneggiatori, artisti, disegnatori, attori, film : - http://www.animator.ru/db/?ver=eng
Ci sono alcuni studi a Mosca che lavorano molto, per esempio il “Pilot” Studio. Producono la serie intitolata “La montagna delle gemme”, basata sulle favole di diverse nazioni sovietiche- http://www.pilot-film.com/
(questo sito è solo in russo).
Lo Studio “Metronom” ha appena ultimato un ciclo di cortometraggi basato sulle ninne nanne. Il titolo è “Ninne nanne dal mondo” - http://www.lull.ru/eng/index.html

11. Dopo la cerimonia del premio, ti sei concessa una “vacanza romana”. Quali sono state le tue impressioni dell’Italia?
Ho sempre sognato di venire in Italia,ed è stato un grande evento per me. Quando sono arrivata in piena notte a Cetraro, l’albergo mi è sembrato una reggia. La mattina dopo, uscendo all’aperto, ho visto il paradiso terrestre –piante di ulivo e mandarino al mare fanno questa impressione. Probabilmente Adamo ed Eva si trovavano in un posto simile.
Mi piace molto il colore marrone, e la prima coincidenza a Roma è stata trovare quelle tonalità del marrone e dell’ocra che mi hanno fatto immediatamente sentire a mio agio. Tutte le cose che ho letto e studiato alla scuola d’arte e poi all’Accademia le ho apprese solo attraverso le immagini, la letteratura, le favole- qualcosa che sembrava molto lontano e non verosimile. Ma qui ho subito capito che tutto ciò è realmente accaduto molti secoli prima del Cristianesimo e che ancora è lì. E il Cristianesimo è in fondo solo una fase della storia dell’umanità.
Michelangelo. Ho visto Mosè, e la cappella Sistina. E’ stato impressionante pensare alle migliaia di persone che passano per questo luogo e restano per ore con la testa all’insù. Persone da tutte le parti del mondo che trascorrono ore in fila. Il Giudizio universale, e la Pietà in San Pietro.
Caravaggio mi ha anche molto colpito, anche se ho visto solo una piccola parte delle sue opere.
Gli italiani, poi, sono gente meravigliosa. Ero in autobus e non sapevo a quale fermata scendere. Gli altri passeggeri hanno iniziato a consultarsi ad alta voce, finchè uno ha alzato la mano, e mi ha dato l’informazione esatta.
Sono stata al museo Barberini e Doria Pamphili. Ma soprattutto ho camminato in giro per la città senza riuscire a fermarmi. Una volta ritornata a Mosca, ho continuato a passeggiare per Roma nei miei sogni, ma mi sono svegliata perché non sono riuscita a raggiungere via Margutta: non esiste una strada con questo nome nella mia città.

mercoledì 28 novembre 2007

Il film sulla madre di San Francesco di Paola proiettato a Roggiano Gravina

Il primo lungometraggio realizzato sulla vita di San Francesco di Paola sarà proiettato giovedì 29 novembre 2007 alle 19 e 30 al Cinema Teatro Italia di Roggiano Gravina. L'evento è organizzato dal laboratorio Artés di Tiziana Prezio e patrocinato dal Comune di Roggiano Gravina e dalla Parrocchia San Pietro Apostolo.

Girato nella scorsa primavera a Fuscaldo, una piccola cittadina della costa tirrenica calabrese, il film "Vienna da Fuscaldo, la madre di San Francesco di Paola" ha già riscosso un grande successo di pubblico.

Il film si è imposto all’attenzione di tutti con la forza di immagini che parlano dritto al cuore delle persone. Un ritorno al cinema popolare di qualità, che l’Italia ha saputo inventare e poi dimenticare per decenni. Per la Calabria, un vero e proprio caso cinematografico.

La vicenda narrata è imperniata sugli anni di formazione di Francesco di Paola, uno dei santi più venerati in Italia e nel mondo, e sul ruolo determinante di sua madre, Vienna. Essendo ambientato nei primi anni del ‘400, il film ha richiesto un grande sforzo di ricostruzione storica. Costumi, arredi, paesaggi, ma ancor più le emozioni e i sentimenti di un’epoca: la sfida più grande è stata di restituire la verità di gesti, sguardi e parole che avrebbero potuto apparire lontani se non fossero stato mediati dalla semplicità e da un senso di profonda commozione che pervade tutto il film.

Chi si aspetta un film religioso in senso stretto, magari una riedizione delle melense fiction propinate dalla TV negli ultimi anni, rimarrà sorpreso dalla assoluta indipendenza di quest’opera da canoni e stereotipi: la madre che vediamo non si propone come personaggio, come modello. I suoi dubbi, il suo dolore e la sua forza sono quelli di una donna vera: ed è questa verità che regala a suo figlio. Anche il tema religioso è affrontato in modo del tutto originale: i genitori di Francesco vivono in una dura, ancorché limpida, lotta “nella religione” in un’epoca oscura e piena di minacce, ma è con i loro giorni e i loro gesti che costruiscono un senso del sacro scandalosamente tangibile.

Il regista Fabio Marra, pur trovandosi ad affrontare il suo primo lungometraggio, ha dimostrato di saper raccontare e avvincere: ma è soprattutto nella scelta delle inquadrature e nella splendida fotografia che il film trova la sua cifra. Una successione di quadri che, con tagli e colori caravaggeschi, riportano il cinema alla suo ventre naturale: la pittura.

Ottanta minuti di incanto, resi vivi e vibranti dalla giovane protagonista: con un viso senza età e con voce e gesti di profonda gentilezza, Paola Scirchio regala a Vienna un’anima. Sono emozioni vere quelle proposte allo spettatore, e sono vere e profonde le emozioni che egli stesso prova.

Un’opera davvero corale, cui contribuiscono in maniera determinante la splendida colonna sonora e l’emozionata partecipazione di tutti gli interpreti, comparse incluse. Durante le riprese, una vera e propria mobilitazione popolare ha trasformato l’intera cittadina di Fuscaldo in un set e, come raccontano i produttori: “si respirava un’atmosfera di rinascita e di voglia di dare che ha regalato al film la stessa forza del primo neorealismo”.

“Vienna da Fuscaldo” è il primo lungometraggio prodotto dalla Quadra Film. Carmelo Ramundo, Fabio Marra, Raffaele del Monaco e Arturo Barbuto hanno ideato questo progetto con l’intento di esprimere al meglio le proprie individualità artistiche e dimostrare la forza creativa che ribolle nel profondo Sud dell’Italia.

venerdì 23 novembre 2007

Il fiore d’ogni dove nel mondo

Di Marta Perrotta



Cetraro nella lista stilata dall’organizzazione della “Giornata mondiale del cinema d’animazione”. Con la terza edizione della rassegna cinematografica “I fiori d’ogni dove”, il nome della cittadina tirrenica – l’unico per l’Italia – è comparso ufficialmente accanto a quello delle grandi capitali del mondo, dei grandi centri culturali di ogni continente, per l’iniziativa di promozione di quello che un tempo era un prodotto dedicato ai più piccini mentre oggi si va via via accreditando come nuova forma d’espressione artistica, il disegno animato.
L’iniziativa, lanciata nel 2005 da Matilde Tortora, docente presso il Dams di Cosenza e messa in piedi grazie agli sforzi organizzativi del laboratorio “Giovanni Losardo” – guidato da Gaetano Bencivinni – ha fin da subito avuto il patrocinio, tra gli altri, della sezione cinema dell’Unesco. L’edizione 2007 è stata particolarmente ricca di partecipanti che hanno inviato alla commissione internazionale decine di lavori provenienti da tutto il mondo. I primi premi delle due sezioni, quella “disegno animato” e quella dedicata al “disegno digitale”, sono andate a giovani stranieri. Il primo a una giovane di nazionalità russa, Irina Litmanovich, «per l'eccellente uso della tecnica delle carte ritagliate, per la dolcezza e l'ironia con cui la giovane regista affronta il tema della memoria e delle radici» mentre il secondo è stato assegnato al tedesco Martin Rahmlow perché «l'autore riversa tutta la passione e la sua tecnica in ogni singolo fotogramma del film, fino ai titoli. Il risultato è un animazione di grande livello, con suggestioni "dantesche", e un messaggio di amore e speranza». (uscito su “Gazzetta del sud” del 14 novembre 2007)

venerdì 9 novembre 2007

Il dono che ci ha fatto Simona del cinema d’animazione

di Matilde Tortora

Una giovane donna aveva visto nel giusto quando nel 2002 per la prima volta fu istituito e assegnato il Premio Oscar per il cinema d’animazione, Ella considerò questo evento come il risanamento di un’ingiustizia e il riconoscimento di una grandezza, quella appunto del cinema d’animazione, per tanti versi misconosciuto pur se, fin da subito ne era emersa la bellezza, la sua importanza, il suo fascino universale, tanto è vero che per il primo lungometraggio d’animazione, Biancaneve e i sette nani di Walt Disney, l’anno stesso della sua realizzazione, gli fu attribuito alla Mostra del Cinema di Venezia un Premio creato appositamente per questo capolavoro.
Questa giovane donna, Simona Gesmundo, che era una studiosa tra i primi e i pochissimi in Italia d’intelligenza artificiale applicata al cinema, gli esiti del cui lavoro avevano già acquistato fama europea, venuta tanto prematuramente a mancare nel 2005, ci ha lasciato una preziosa eredità che l’Associazione che porta il suo nome e il Laboratorio Giovanno Losardo di Cetraro presieduto dal Prof. Gaetano Bencivinni, con l’istituzione del Premio Simona Gesmundo Corti d’Animazione, ha non solo raccolto, ma anche fatta fruttificare in così pur breve tempo.
Quando infatti tre anni fa demmo avvìo alla rassegna di cinema Il Fiore di ogni dove, mai avremmo creduto che per davvero, in così breve tempo, grazie al Premio Simona Gesmundo Corti d’animazione, da ogni parte del mondo ci giungessero film di tale bellezza e spessore e in tale numero, che ci attestano quanto Ella avesse visto giusto e colto nel segno.
“E noi che la felicità la pensiamo in ascesa, ci accorgiamo oggi di una cosa felice che cade: l’attenzione” - sono versi del poeta Rilke tratti dalle Elegie Duinese che ci erano, fino a stasera, sempre stati difficili da comprendere e che solo in questo momento comprendiamo nel pieno del loro significato, perché quel che qui stasera si realizza, cioè gli esiti dell’attenzione costante, mirata che noi stiamo rivolgendo da tre anni a questa parte ai giovani autori dei film d’animazione più intensi, più nuovi, più significativi di varie parti del mondo, ci rende oggi felici; quel che il giovane Rilke sperimentò nel castello di Duino e che lo connetteva al mondo intero, noi dunque lo stiamo sperimentando qui a Cetraro, essendoci messi, grazie all’intuizione, all’operato in questo campo e alla passione di Simona, in connessione davvero col resto del mondo.
Quest’accostamento dei versi di una poesia ad un evento di cinema non è del tutto casuale, poiché quando un film, l’opera di un regista merita attenzione, allora vuol dire anche che in qualche misura questo film contiene ed è contrassegnato anche da poeticità poiché tutto di noi riesce a dire.
Certamente il cinema è anche tanto altro, in special modo lo è il cinema d’animazione che è un esperanto, un’arte davvero unica che si destina a tutti, anzi è la più democratica delle arti non avendo bisogno delle parole e della barriera delle diverse lingue ed è anche, cosa che non è a tutti nota, antecedente addirittura al cinema dei Lumière, nato ancora prima del cinema, con le proiezioni che Emile Reynaud tenne col suo Theâtre Optique al Museo Grevin a Parigi nel 1892; addirittura prima che l’uomo imparasse a volare, ci fu infatti chi riuscì a dotare le immagini di una quarta dimensione, consentendo per la prima volta che un disegno in movimento fosse in grado di esprimere delle storie e un racconto. Quanto alla peculiarità e, per certi aspetti, superiorità del cinema d’animazione, voglio ricordare quanto è scritto nell’introduzione dello statuto dell’ASIFA, ovvero dell’Association Internazionale du Film d’Animation: “Il cinema “dal vero” procede con un’analisi meccanica, per mezzo della fotografia, di avvenimenti simili a quelli che saranno resi sullo schermo, mentre il cinema d’animazione crea gli avvenimenti per mezzo di strumenti diversi dalla registrazione automatica. In un film d’animazione gli avvenimenti hanno luogo per la prima volta sullo schermo”. Il che, come scrive Giannalberto Bendazzi nel suo celeberrimo Il Cinema d’Animazione, vuol anche dire che “al contrario del cinema “dal vero”, la materia prima nella quale l’animazione attinge gli elementi della sua opera futura si compone unicamente delle idee umane, di idee che i diversi uomini si fanno delle cose, degli esseri viventi, delle loro forme, dei loro movimenti, del loro significato. Essi rappresentano queste idee attraverso delle immagini fatte con le loro mani”.
E noi di questo ne abbiamo avuto anche quest’anno piena conferma da queste opere giunte da ogni parte del mondo a partecipare al Premio che porta il nome di Simona, da lei avendo avuto l’intuito e l’input di quanto sia importante dare attenzione al cinema d’animazione il quale oggi è il cinema più complesso e innovativo che si fa nel mondo, grazie all’applicazione di sistemi sofisticati, di programmi nuovissimi e d’applicazione d’intelligenza artificiale.
Come vedremo stasera nei corti selezionati e nei corti vincitori dei valentissimi giovani autori che hanno partecipato al Premio, il cinema d’animazione è un cinema che sperimenta, che crea, è dunque un cinema necessario e che ci immette con sapienza nel futuro che avanza: da Mosca è giunta la vincitrice, la regista Irina Litmanovich, con il suo film Khelom’s Customs, bellissimo per sapienza tecnica e intensità del racconto, a lei ispirato da un racconto in yddish del poeta Ovsei Driz, che le ha consentito di dare attenzione alla memoria del passato e alle proprie radici culturali e di realizzare un film caravaggesco per l’uso dei colori e della luce, un film come dicevamo necessario e colmo di poesia, fatto con la tecnica delle carte ritagliate e i disegni animati. L’altro film, vincitore per la sezione animazione in digitale, è Aal im Schadel del regista tedesco Martin Rahmlow, un film costruito con programmi sofisticati e un animazione di grande livello, che racconta con suggestioni dantesche del viaggio di un giovane alla ricerca del proprio risanamento; due sono state le menzioni speciali, attribuite al film God on our side di Michal Pfeffer & Uri Kranot per la pietas, l’incisività (e gli esiti artistici conseguiti) con cui gli autori trattano il tema del conflitto israeliano - palestinese in questo film a disegni animati per i quali si sono ispirati a Guernica di Picasso, per dirci il male, la violenza di conflitti che a tutt’oggi continuano a vedere coinvolte come vittime anche i bambini e il loro futuro, e al film Facciamo grande la TV dei piccoli di Sergio Manfio, per l’elevato valore culturale e sociale e l’alta qualità di realizzazione di questo breve film d’animazione indirizzato in special modo agli adulti, che ci fa riflettere su come dovrebbe essere e che cosa dovrebbe offrire una tv a misura di bambino.
Sono inoltre presenti qui stasera eminenti personalità, l’artista ungherese Anna Kiss membro della Giuria giunta per noi appositamente da Budapest, Monsieur Robert Kalman membro del Comitato Esecutivo dell’UNESCO e quest’anno Presidente della Giuria giunto da Parigi, che nel suo discorso ha tra l’altro stasera voluto ricordare che Il Fiore di ogni dove - Premio Simona Gesmundo Corti d’Animazione con il suo dare attenzione ai film di giovani autori di diversi Paesi del mondo che siano in grado di dire coi loro film l’importanza delle radici, della memoria ma anche di indicare coi loro film traiettorie per il presente e per la costruzione delle identità del futuro, è tanto in sintonia con l’operato e gli obiettivi perseguiti dall’UNESCO da averci fatto ottenere il loro Patrocinio e in tal modo essi hanno anche avuto modo di apprendere dell’esistenza della città di Cetraro. Come si può vedere poi dalla nostra bellissima brochure, abbiamo avuto anche un altro importante Patrocinio, quello dell’ASIFA, essendo inoltre quest’anno il Premio Simona Gesmundo Corti d’Animazione uno dei soli tre in Italia a essere stati inseriti nella Giornata Mondiale del Cinema d’animazione e, se è vero che questo evento ci lancia nel futuro più operoso e fervido, ci riconnette anche alle origini stesse di quest’arte che Simona ci ha fatto scoprire, poiché l’immagine di Emile Reynaud che è nella nostra brochure e di cui siamo stati autorizzati a fruire, è stata disegnata dall’artista portoghese Abi Feijo, noto autore di corti d’animazione e past President dell’ASIFA proprio per la Giornata Mondiale del Cinema d’Animazione 2007 e ci consente quale segno distintivo comune che in tutti i Paesi del mondo, in contemporanea , venga divulgato quel che stasera accade qui a Cetraro e dunque porta Cetraro e la Calabria in tutto il mondo.
www.premiosimonagesmundo.com

SE L’OMBRELLO SCOMPARE A VIA CONDOTTI

di Francesco Grosso


Ci sentiamo tutti in dovere di non scordare l’orrenda fine di Giovanna Reggiani, la donna che nei giorni scorsi, a Tor di Quinto, Roma, è stata aggredita da un clandestino romeno proveniente da una baraccopoli, e da questi seviziata, tramortita, e gettata in fin di vita in una scarpata.
Il problema è che un simile episodio di cronaca, di per sé facilmente strumentalizzabile data la materia scabrosa, ha permesso al meccanismo mediatico di valicare nuovi confini di indecenza. La povera vittima non aveva ancora concluso la sua agonia, e già lo sciacallaggio dell’informazione televisiva si era messo in moto. Alcune emittenti private (e i potentati politici che le controllano, che hanno tutto l’interesse a cavalcare l’indignazione popolare), avevano già sguinzagliato frotte di cronisti per la città, a caccia della massaia terrorizzata o del coatto da Curva Nord che la sparasse più grossa – ha avuto i suoi dieci secondi di celebrità anche il ragazzotto che ha proposto di appendere per la gola indistintamente tutti i romeni «ai lampioni, così ce fanno luce».
La reazione che ha preso il sopravvento, a livello mediatico, è stata quella del livore assoluto e indirizzato contro gli immigrati in generale – come se il complesso fenomeno dell’immigrazione verso l’Europa potesse essere osservato attraverso le lenti deformate di un episodio di cronaca nera avvenuto in Italia. E, quello che è peggio, padrona assoluta dell’agone televisivo è stata la disinformazione, anche terminologica: esperti, meno esperti, semplici comparse, hanno discettato per ore di minacce alla sicurezza, orde barbariche, Codice Penale, senza avvertire il bisogno di far conoscere al pubblico l’esatto significato di termini come «rom», «romeno», «zingaro», «extracomunitario», «clandestino»; senza far capire, ad esempio, che la Romania, dal gennaio di quest’anno, fa parte a tutti gli effetti dell’Unione Europea.
È dunque consolante, anche se non sorprendente, che nell’ora dell’odio e della superficialità, le parole più sensate, più dolci, più meditate, siano venute dai familiari della povera Gabriella: «Non tutti i romeni sono criminali. Una cosa simile avrebbe potuto farla anche un italiano. Se la morte di Gabriella venisse strumentalizzata ci dareste un nuovo dolore», ha dichiarato il giorno dei funerali il marito della donna; parole commoventi pronunciate con grande dignità, che – permettendomi di percepire il mio pensiero già ampiamente rappresentato – mi avevano convinto a non aggiungere alle mille voci anche la mia. Avrei evitato il rischio della banalità e della facile analisi a tavolino.
Non avrei voluto scrivere su questa vicenda, e non l’avrei fatto, se non mi fossi trovato, due giorni dopo la tragedia, davanti al televisore all’ora di pranzo. Rai Uno, la Rete ammiraglia della TV di Stato; per l’esattezza il TG1, il telegiornale canonico, al quale si affidano milioni di italiani – e che, in un Paese che praticamente non legge quotidiani, non legge libri, non legge niente, costituisce per molti cittadini l’unica fonte di informazione e di opinione – stava mandando in onda un servizio da una baraccopoli romana, abitata da rom provenienti per lo più dalla Romania. Una baraccopoli che raccoglie (come tutte le baraccopoli del mondo) una umanità derelitta e marginale, bambini in fasce e anziani spenti, donne per lo più indaffarate e maschi per lo più inoperosi, semplici poveracci e furfanti in cerca di copertura, tutti comunque accomunati dalle difficili condizioni del vivere.
Impegnata in una di quelle interviste “sul campo” che violano la quotidianità di persone accampate in riva al fiume, ma che fanno molto colore, una giornalista sta rivolgendo domande intelligenti, del genere: «Come va, quaggiù?» Risposta: «Benino, grazie.» Oppure: «Ma voi rubate? Scippate? Spacciate?» «No, no, per carità…» La simpatica inviata, però, a questo punto, introduce un sorprendente diversivo. Siccome i potenti mezzi della Rai non sono riusciti a preservarla dalla pioggia, ed è dunque stata costretta a portare con sé l’ombrello, a telecamere ancora accese si accinge a recuperare il prezioso oggetto, in precedenza lasciato incustodito presso una baracca. E in questo momento avviene il colpo di scena: il servizio, tingendosi di giallo, diventa tv-verità. Ebbene sì, signori: alla giornalista è… sparito l’ombrello. Apriti cielo: ecco la conferma che cercavamo. Gli zingari rubano, e rubano gli ombrelli. Ce l’hanno nel Dna, ecco. È tutto scritto: gli svizzeri sono sempre puntuali, i brasiliani sono indolenti, gli spagnoli calienti, i genovesi avari, i napoletani truffaldini. E via dicendo. Come nelle barzellette: c’è un italiano, un francese, un inglese… Hai visto mai che gli zingari si lasciavano scappare l’occasione di rubare un ombrello?
È evidente che queste sono mie conclusioni: la giornalista si limita a documentare il furto, non commenta, non entra nel merito – e ci mancherebbe altro. Il fatto è che il servizio pubblico dovrebbe stare sempre molto attento ai segnali che lancia. Dovrebbe conoscere la sconcertante potenza dei simboli, dei messaggi più o meno subliminali che passano, attraverso il tubo catodico; soprattutto se questi segnali arrivano ad un pubblico poco preparato, sprovvisto di anticorpi specifici, incapace di contestualizzare.
E allora, integriamola noi, l’informazione carente, diamo una notizia alla giornalista derubata e all’intero TG1: un ombrello abbandonato in un angolo, con l’improvvido proprietario che scorazza qua e là impegnato a porre domande sui massimi sistemi, scompare pure a Via Condotti, nel centro elegante di Roma, o a Via Montenapoleone, nel centro elegantissimo di Milano, o nel centro (meno elegante) di Cosenza, dove abito io. Scompare, l’ombrello incustodito; scomparirebbe dovunque, in centro o in periferia, nel centro commerciale o nel centro storico, in riva al mare o in riva al fiume, perché l’occasione fa l’uomo ladro (sdoganiamoli tutti, a questo punto, i luoghi comuni…), e perché la natura umana, in fondo, è questa: egoismo, lotta per la sopravvivenza, bilanciamento fra pulsioni primarie e controllo sociale.
Il furto di un ombrello per strada non è una notizia. Il furto dell’ombrello di una giornalista non è una notizia; le disavventure dei membri di una troupe televisiva non interessano e non devono interessare il telespettatore, perché altrimenti ogni servizio dovrebbe rendere conto dell’eventuale caduta del cameraman, magari inciampato nell’insidioso cavo del microfono, o del raffreddore dell’autista che accompagna la troupe.
Se poi si vuol parlare di utilità marginale, e dire che ci sono posti in cui gli ombrelli si rubano più che in altri, perché più utili, si faccia pure, ma si trasformi il tutto in vera informazione. Dunque: quaggiù rubano gli ombrelli perché quando piove a dirotto piove pure nelle baracche. Quaggiù vivono nel fango, ci sono bambini che non hanno mai visto un medico. Diamine, se servono, gli ombrelli, da queste parti; la vera notizia sarebbe stata: «Ecco, vedete? L’ombrello è al suo posto, non è stato rubato…»
Non è finita, comunque. La chiusura del servizio è da Antologia della Televisione: un vero e proprio frammento di tv-verità si dischiude agli occhi del telespettatore. Pochi minuti dopo la scoperta dell’esecrabile sottrazione di ombrello, il corpo del reato, nelle mani di una ragazzina sorridente, ricompare, e viene restituito accompagnato dalle scuse dell’intero accampamento. L’infinita dignità degli Ultimi, direbbe qualcuno. Alzi la mano chi riesce ad immaginare un finale simile nel centro di una qualsiasi città italiana, o dalle parti di Via Condotti.

venerdì 2 novembre 2007

" L'abbuffata", la faccia cinematografica di Diamante

di Luca Fortunato

Sabato in occasione del Festival del cinema in Roma, alle ore 19 è stato proiettato nella sala Sinopolis dell’Auditorium della Musica nella città eterna, “L’abbuffata”, un film girato a Diamante con la regia di Mimmo Calopresti ed un folto cast di attori: Gérard Depardieu (Gérard), Diego Abatantuono (Neri), Valeria Bruni Tedeschi (Amelie), Mimmo Calopresti (Francesco). Per l’occasione è stato presente a Roma il sindaco di Diamante, Ernesto Magorno per assistere ad un evento d’eccezione per la cittadina. Ora la perla del Tirreno oltre che città dei murales è anche sfondo cinematografico per pellicole importanti come quella de “L’abbuffata”. Tutti sognano il cinema. Un sogno, un mondo irreale che a volte si concretizza nella gioie concrete d’una pellicola, in altri casi si cimenta in un miraggio di rimpianti. E nel bellissimo borgo di Diamante, nella città dei murales, in una Calabria colorata con pastelli mediterranei, un gruppo di quattro giovani amici ha finalmente il coraggio di girare un film. Tanti i personaggi caratteristici d’un paese che vive, dalla banda del paese al cinico regista interpretato da Diego Abatantuono ritiratosi a vita di contemplazione ma convinto d’essere spinta d’un sogno da realizzare, dalle zie che aspettano ancora l'amor al professore d'inglese (Nino Frassica), dal parroco alla barista (Donatella Finocchiaro), per concludere alle stelle tanto luminose del mondo del cinema, “al di là dei confini della Calabria, tutti - esprime una nota dell’Istituto Luce, coproduttore del film - rimangono coinvolti dall'energia, dalla magia e dalla semplicità con cui i quattro ragazzi vogliono costruire un presente e un futuro diverso. E per la grande star (Gérard Depardieu) che ha accettato generosamente di atterrare in Calabria, in compagnia della fidanzata (Valeria Bruni Tedeschi) per girare il loro film, i giovani amici con l'aiuto di tutto il paese prepareranno una grande festa: una vera e propria abbuffata”.
“Una vera e propria occasione – ha commentato Magorno – per riflettere una Calabria diversa da quella che molte volte è ritratta nelle vicende di cronaca. Questo film è un modo come tanti per esprimere che la Calabria è costituita anche di atti di coraggio accompagnati anche da sogni che si possono realizzare con la voglia e la tenacia”.

Nessuna conclusione è posta a qualsiasi forma di sapere

di Luca Fortunato
“Contro il Vangelo armato. Giordano Bruno, Ronsard e la religione” è il titolo del libro di Nuccio Ordine presentato a Roma nella sala delle Colonne presso Palazzo Marini, venerdì 26 ottobre. Una tavola rotonda di nomi illustri come Giulio Ferroni, Giulio Giorello, Giacomo Marramao, Stefano Rodotà e Giovanni Latorre si è aperta ad una folla numerosa ed insaziabile di godere di un percorso, di un intreccio, di un viaggio solcato dalle linee profonde degli interventi dei protagonisti. Nuccio Ordine è il professore ordinario di letteratura italiana nell’Università della Calabria, è l’invitato in qualità di Visiting Professor in diversi istituti di ricerca e università negli Stati Uniti ed in Europa ma è soprattutto la gemma che la sua terra vuole custodire ed allo stesso tempo condividere con il mondo. Questo è stato forse l’innesco per affrontare un viaggio di cinquecento chilometri per la delegazione dell’amministrazione comunale di Diamante capeggiata dal sindaco Ernesto Magorno e soprattutto dai parenti ed amici. Ordine è il filo di congiunzione tra il valore elevato della filosofia di Giordano Bruno ed il mondo della gente, del quotidiano, del professionale che con una concretezza sfacciata cementifica il punto di partenza di un viaggio. “Bruno è l’esule” come ha ricordato Giulio Giorello, è colui che va dall’Italia alla Francia, all’Inghilterra, alla Germania ma forse le ceneri del grande filosofo sfiorano l’aria, cavalcano le nubi ancora oggi per tramutare quel fuoco che gli ha strappato la vita in un viaggio, ricerca instancabile della verità, tentativo di costruzione, di fievole ottemperamento all’essere uomini per gli uomini che si staccano dai fili di seta che gli impone la vita e stracciando le catene si mettono in cammino senza presupporre una verità assoluta. E’ difficile la ricerca del centro di una sfera perché ogni punto può esserlo, la Terra non è il centro, un uomo non è il centro ma ogni uomo potrà essere il centro, “ognuno di noi è specchio dell’universo” come ha commentato Marramao.
“Nessuna conclusione è posta a qualsiasi forma di sapere” scandisce l’inizio penetrabile e concreto dell’intervento di Nuccio Ordine. La vita è l’insieme delle strade dell’esistenza che abbracciano l’incontenibile tutto che di giorno in giorno ci incontra e ci scontra. La religione cos’è? “Può essere - come commenta Marramao – esperienza di fede o appartenenza” ma comunque è un dispositivo di dogmi. Bruno come si è delineato nel corso del dibattito “ha voluto mostrare gli effetti nefasti che i dogmi della teologia hanno avuto nella vita civile. I libri sacri non parlano di filosofia, non indagano i segreti degli astri. Il teologo è il pastore dei popoli mentre il filosofo indaga sulla verità della natura”.

giovedì 1 novembre 2007

Per una scuola di corti di animazione a Cetraro

di Francesca Rennis

In scena il cinema d’animazione e con questo i giovani protagonisti di una realtà ormai pronta a mettere radici sul Tirreno cosentino con una scuola diretta dall’architetto Raffaele Schiavullo, docente di “Tecniche di realtà virtuale” presso l’Università Federico II di Napoli. La terza rassegna internazionale del cinema “Il fiore d’ogni dove” allarga i suoi orizzonti oltre frontiera grazie alla presenza di un’ospite d’eccezione come monsieur Robert Kalman, membro del Comitato esecutivo dell’Unesco, e di lavori provenienti da diverse nazioni, ma soprattutto per il forte imprinting alla formazione di professioni innovative legate alla cinematografia. Dalla elegante e sicura conduzione di Francesca Villani, referente per l’Editoria e comunicazione del Laboratorio “G. Losardo”, si è snodato il percorso culturale dell’associazione promosso con la collaborazione dell’associazione Simona Gesmundo Corti d’animazione e sotto la tutela dell’Unesco. Dei nuovi linguaggi multimediali applicati al cinema hanno parlato il presidente del Laboratorio, Gaetano Bencivinni e il direttore artistico della rassegna Matilde Tortora restituendo un insieme di suggestioni e concetti fondanti di una cultura improntata su “volontariato, sobrietà e solidarietà”.
I premi della rassegna e “Simona Gesmundo” sono stati attribuiti rispettivamente al tedesco Martin Rahmlow per “Aal im Schadel”, migliore corto in digitale, e alla russa Irina Litmanovich per “Khelom’s customs”, migliore corto d’animazione. Menzioni speciali anche ad altri lavori dai contenuti significativi e pregnanti, nonché per l’originalità tecnica. Il sindaco di Cetraro, Giuseppe Aieta, nel confermare l’impegno per la scuola di cinema d’animazione ha sottolineato la collaborazione con il Laboratorio “perché non tutto – ha detto tra l’altro - può essere delegato alle amministrazioni” mentre bisogna dare spazio “ad iniziative di nicchia che ci conferiscono specificità. Questo territorio si accinge a dare una spallata all’immobilismo, a rompere il recinto dell’inerzia”. In questa direzione è intervenuto anche il sindaco di Fuscaldo, Davide Gravina, nel consegnare il riconoscimento del Laboratorio, sezione Cinema, al regista Fabio Marra che ha realizzato il film “Vienna da Fuscaldo, madre di San Francesco di Paola”. A ricevere le targhe per la sezione Comunicazione, Carla Monaco, giornalista Rai, e per Radio Azzurra, Ugo Manco e Nunzia Adduci. Assegnazioni targhe per la sezione Cinema anche ai registi Giovanna Taviani per “Ritorni”, Giovanni Scarfò per “Melissa 49/99” che è intervenuto per raccontare di persona la sua versione “metaforica” del cinema lontana da “questioni ideologiche”. Oltre le formalità di rito e in linea con la creatività dialettica del momento il discorso fuori dalle righe di un simpatico Kalman al quale è stato consegnato il riconoscimento speciale “Cristo d’argento”, simbolo del Laboratorio “Losardo”.( Provincia cosentina 30 ottobre)

A Robert Kalman il Cristo d'argento

di Clelia Rovale

Anche la III° edizione della Rassegna cinematografica “Il fiore di ogni dove”, organizzata dal Laboratorio sperimentale “Giovanni Losardo”, svoltasi ieri sera nella Sala convegni della Colonia San Benedetto di Cetraro, non ha tradito le aspettative, confermandosi come un evento culturale unico nel suo genere nella nostra regione e con una dimensione diventata ormai internazionale, arricchita, quest’anno, anche dalla prestigiosa presenza, quale ospite d’onore, nonché presidente della giuria che caratterizza il premio previsto all’interno della stessa, di Robert Kalman, membro del Comitato esecutivo dell’Unesco, al quale, nel corso della serata, è stato attribuito il I° premio “Cristo d’argento”, introdotto quest’anno dall’organizzazione. Alla serata hanno, inoltre, preso parte, intervenendo, il sindaco di Cetraro, Giuseppe Aieta, la stessa prof.ssa Tortora, varie personalità del mondo della cultura e dell’informazione, insieme ai più validi e giovani talenti del territorio, che hanno ricevuto dei riconoscimenti, nel pieno rispetto delle finalità che l’associazione organizzatrice, appunto, si propone. Come è noto, la rassegna “Il fiore di ogni dove”è organizzata dal Laboratorio sperimentale “Giovanni Losardo”, di cui è presidente Gaetano Bencivinni, ed è diretta dalla scrittrice e docente Matilde Tortora, che ne è anche l’ideatrice. Dallo scorso anno, inoltre, essa contiene il Premio “Simona Gesmundo: corti d’animazione”, dedicato alla memoria di questa giovane studiosa di intelligenze artificiali prematuramente scomparsa e di Mauro e Giampiero Ganeri, giovani cultori di arte cinematografica, anch’essi prematuramente scomparsi. La serata, che è stata aperta e coordinata da Francesca Villani, referente per l’editoria e la comunicazione del laboratorio “Losardo”, ed è stata presieduta da Gaetano Bencivinni, è stata articolata in due parti. Dopo l’intervento di Raffaele Schiavullo, docente di Realtà virtuale presso l’Università “Federico II” di Napoli, che ha parlato dell’ambizioso progetto di realizzare una Scuola per la formazione di professionisti nel campo dei corti d’animazione a Cetraro, progetto già in via di realizzazione a Pagani, in provincia di Napoli, in collaborazione con l’associazione “Simona Gesmundo”, è stato proiettato l’ultimo lavoro del noto regista Simone Massi, intitolato “La memoria dei cani”, vincitore dell’ultimo Festival di Stoccolma. Subito dopo, sono stati consegnati i riconoscimenti, per il lavoro svolto nel campo dell’informazione locale, alla giornalista Rai Carla Monaco, volto noto del Tg3 Calabria, che ha ricordato i suoi esordi in questa non facile professione, e a Radio Azzurra, che ha sede a Scalea, nota emittente locale, leader di ascolti. Ricevendo i premi, i responsabili dell’emittente hanno sottolineato le peculiarità che distinguono i rispettivi ambiti di competenza. Subito dopo, sono stati presentati e premiati i corti “Vienna da Fuscaldo, madre di San Francesco di Paola”, di Fabio Marra, premiato dal sindaco di Fuscaldo, Davide Gravina, “Melissa 49/99”, corto incentrato sui tragici fatti di Melissa avvenuti, appunto, nel 1949, di Giovanni Scarfò, e “Ritorni”, di Giovanna Taviani, assente per motivi di salute. Presenti anche la giovane regista russa Irina Litmanovich, di Mosca, e Anna Kiss, attrice, che ha lavorato anche con Luchino Visconti. Alla serata è intervenuto, come già sottolineato, il sindaco di Cetraro, Giuseppe Aieta, che ha messo in evidenza il ruolo meritorio svolto dal Laboratorio Losardo, capace di incidere in modo positivo su tutto il territorio, nell’ottica di una valorizzazione complessiva delle associazioni che caratterizzano la città, tutte impegnate “per mettere definitivamente in archivio la “cronaca” di Cetraro e dare a questa città un volto e un abito nuovi.( Il Quotidiano 27 ottobre)

lunedì 29 ottobre 2007

Un miracolo in un piccolo centro del Sud

di Francesca Rennis

L’arte come luogo di incontro di culture diverse, di crescita umana e sociale, di apertura a prospettive diverse. Proprio come i nuovi linguaggi multimediali applicati alla cinematografia. Nella terza rassegna “I fiori di ogni dove” sboccia l’iniziativa interculturale e la valorizzazione di giovani talenti per come previsto dallo stesso titolo. Lo evidenzia Antonella Bruno Ganeri, senatrice e intellettuale di rilievo nel Tirreno cosentino, da sempre vicina alle iniziative del Laboratorio “G. Losardo”. Non potendo partecipare alla manifestazione che si terrà oggi pomeriggio presso la Colonia San Benedetto la senatrice vuole comunque rimarcare di aver “sempre apprezzato l’iniziativa per la novità assoluta che rappresenta nel nostro territorio proprio per il taglio multiculturale che interpreta meravigliosamente lo spirito dei tempi. E se a parole sosteniamo questo processo di dialogo, nei processi concreti invece non sempre si manifesta. Il Laboratorio lo fa utilizzando uno dei linguaggi più significativi di oggi che è quello del cinema. Anche se la giornata di oggi è dedicata al corto d’animazione e dunque settoriale, è degno di grande attenzione perché riscopre i giovani talenti”. E tra i giovani anche chi non ha potuto continuare a coltivare le proprie passioni artistiche nel settore multimediale perché la vita si è interrotta prematuramente come i figli della stessa senatrice e Simona Gesmundo alla quale è dedicata la rassegna. “La cosa che più mi ha colpito nel ricordare persone che non ci sono più – continua Bruno Ganeri – è stato il valore dato al ricordo. Un ricordo che si riempie di significato quando si scoprono tanti giovani talenti, tante potenzialità non solo italiane. In un piccolo centro del sud come Cetraro si opera un “miracolo”. Da qui proviene un segnale importante in un momento in cui la Calabria è additata in tutta Italia forse come il luogo più nefasto, di corruzione, violenza, mancanza di legalità. Questo segnale non è una piccola cosa. Magari ci fossero nella regione tante iniziative del genere. Ammortizzerebbero questa ondata di fango, un groviglio di immoralità che rischia di sommergerci tutti e che ci riempie di un mare di vergogna. E purtroppo a rimanere schiacciati – avverte preoccupata - sono i calabresi onesti che sono la maggioranza ma non riescono ad emergere”. In definitiva l’iniziativa, sostenuta dall’amministrazione provinciale e comunale “non è di facciata come dimostra la presenza di persone referenziate tra cui Giovanna Taviani, figlia di uno dei due famosi registi. Sono giovani talenti ai quali auguriamo di lavorare in un mondo migliore senza barriere. Un esempio di buona politica, intendendo per politica servizio culturale al territorio perché la politica se non è cultura né servizio è qualcosa che non ci appartiene”.( Provincia Cosentina 26 ottobre)

Il Fiore di ogni dove. I corti premiati

di Francesca Rennis


Una leggenda yiddish e un viaggio per sconfiggere la malattia sono i temi dei due corti che saranno premiati venerdì 26 ottobre nel corso della rassegna cinematografica internazionale “Il fiore di ogni dove” dedicata ai “corti”. Lavori che portano il confronto artistico oltre i confini linguistici e culturali non solo perché frutto di tesi di laurea di un tedesco, Martin Rahmlow, e di una russa, Irina Litmanovich, ma soprattutto per la presenza di una giuria internazionale, presieduta da Monsieur Robert Kalman, membro del Comitato Esecutivo dell’Unesco di Parigi che sarà l’ospite d’onore alla cerimonia del 26 ottobre. L’originalità dei cortometraggi nel rimaneggiare il già noto attraverso l’utilizzo di strumenti multimediali prende forma visiva, si materializza in visioni catturate all’immaginazione.
Ritorna la leggenda del topolino mangiato dal gatto, come nella celebre canzone “Alla fiera dell’est” di Angelo Branduardi recuperata dal folclore yiddish mittleuropeo. E’ il caso di “Khelom’s customs” di Irina Litmanovich presentato per la sezione Disegno animato. La forma multimediale media il contenuto morale che riesce a far presa sullo spettatore accalappiato nella rete di suggestioni antiche. La coscienza religiosa ebraica non rimane così sullo sfondo di abilità tecniche ma ripropone comunque una verità del senso comune. Ogni risposta ad un problema ripresenta un altro problema e quasi sempre i guai aumentano. “Never end”, dirà alla fine l’autrice che si è ispirata al poema di Ovsei Driz.
Ritorna anche il tema del viandante alla ricerca di una cura per la sua inguaribile malattia. E’ il viaggio dell’uomo alla ricerca del propria identità, la pietra filosofale per eccellenza. Solo l’accettazione delle traversie che dovrà affrontare possono alla fine dargli la salvezza. In gara per la sezione Digitale ha colpito la straordinarietà con cui il giovane regista è riuscito a restituire immagini tra onirico e allegorico senza perdere il senso della storia. In questo percorso dal titolo “Aal im Schadel”, ovvero “Anguille”, si è cimentato Rahmlow. Questi, diplomato alla FilmAkademie di Baden-Wurttemberg, si è poi specializzato presso l’Animation Institute interno alla facoltà; la Litmanovich, dopo aver frequentato il Department of Visual communication alla “Bezalel” Arts Academy di Gerusalemme ed aver lavorato come assistente alla regia e direttore artistico in vari studi, si è poi specializzata in regia alla Shar School-Studio di Mosca .
Il Premio Simona Gesmundo Corti d’Animazione sin dal suo esordio è stato patrocinato dal Conseil du Cinema, de la Televisione et de la Communication Audiovisuelle dell’Unesco, dalla Presidenza del Consiglio Regionale, dalla Provincia di Cosenza e dal Comune di Cetraro. L’edizione di quest’anno, intorno alla quale si sono raccolte diverse aspettative, è stata organizzata in partecipazione con la Giornata mondiale del Cinema d’animazione e si avvale dell’importante patrocinio dell’Asifa - International animated film association.
Ideata e diretta dalla docente universitaria e scrittrice Matilde Tortora, curata dal Laboratorio sperimentale “G. Losardo”, in questa terza rassegna ha preso in esame oltre 40 cortometraggi animati provenienti da tutta Europa. La manifestazione prende le mosse dalla passione, interrotta tragicamente, della giovane studiosa di cinema e linguaggi multimediali Simona Gesmundo. Una passione che si ripercuote su partecipanti e pubblico, entrata con la manifestazione anche nel periodico di cultura cinematografica Quaderni di Cinemasud, che ospita i festival di cinema più importanti d’Italia e d’Europa e che privilegia i nuovi autori, il genere documentario e le cinematografie del Sud del mondo.( Provincia Cosentina ottobre)

La lingua universale dei corti di animazione

di Tiziana Ruffo


L’animazione, un esperanto, un linguaggio di una grande democrazia, trova visibilità nella terza edizione del Premio Simona Gesmundo - Corti d’Animazione, in programma a Cetraro il 26 ottobre. L’evento è inscritto nell’ambito della III edizione della Rassegna Cinematografica Internazionale “Il fiore d’ogni dove”, ideata e diretta da Matilde Tortora e curata dal Laboratorio Sperimentale G. Losardo. I film d’animazione vincitori, selezionati tra oltre 40 cortometraggi animati, provenienti da tutto il mondo, sono entrambi stranieri. Si tratta dei corti “Aal im Schadel” del regista tedesco Martin Rahmlow per la Sezione Digitale e “Khelom’s customs” della russa Irina Litmanovich per la Sezione Disegno Animato. Il Premio, sin dal suo esordio, è patrocinato dal Conseil du Cinema, de la Televisione et de la Communication Audiovisuelle dell’ Unesco , dalla Presidenza del Consiglio Regionale, dalla Provincia di Cosenza e dal Comune di Cetraro. L’on. Mario Oliverio è presidente onorario della Rassegna, organizzata tra l’altro quest’anno in partecipazione con la Giornata Mondiale del Cinema d’Animazione e si avvale dell’importante patrocinio dell’ASIFA - International Animated Film Association. Una peculiarità che vedrà dunque i corti inseriti in un dvd e proiettati contemporaneamente in tutto il mondo . La manifestazione, dedicata alla memoria della giovane studiosa di cinema e di linguaggi multimediali si avvale di una giuria internazionale (composta tra gli altri dall’artista ungherese Anna Kiss) quest’anno presieduta da Monsieur Robert Kalman, membro del Comitato Esecutivo dell’ Unesco di Parigi al quale verrà attribuito un riconoscimento speciale, che per la prima volta la rassegna consegna: il Cristo d’argento. La valenza fortemente sociale di due corti ha indotto, inoltre, la giuria ad assegnare le menzioni speciali a Sergio Manfio per “facciamo grande la tv dei piccoli” uno spot indirizzato agli adulti per riflettere su cosa dovrebbe offrire una tv a misura di bambino e “Dio è dalla mia parte” , un film della coppia Pfeffer- Kranot che racconta conflitto israeliano - palestinese. Insomma il mondo arriva a Cetraro e Cetraro raggiunge il mondo: la Rassegna Cinematografica infatti è presente nel periodico di cultura cinematografica Quaderni di Cinemasud, che ospita i festival di cinema più importanti d’Italia e d’Europa e che privilegia i nuovi autori, il genere documentario e le cinematografie del Sud del mondo. Nel corso della rassegna verrà annunciata l’istituzione di una scuola di corti di animazione, che si terrà nella cittadina tirrenica e che potrebbe avvalersi del coinvolgimento dell’Università Federico II di Napoli, dell’Università di Salerno e dell’Università della Calabria. Il progetto sarà presentato domani nel corso della rassegna dall’architetto Raffaele Schiavullo, docente di intelligenze artificiali nell’ateneo partenopeo. ( Gazzetta del Sud 25 ottobre)

venerdì 26 ottobre 2007

Intervista a Serena Maffia

di Luca Fortunato

-"Sradicherei l'albero intero": quale albero?
Non certamente quello del peccato, come a molti piace credere. Sradicherei l’albero della falsità. Se Dio ci ha creato curiosi, che questa sete di conoscenza non si plachi con un succo di frutta clericale.

-Quanta forza hai?
Tanta. Anche se, basta che qualcuno mi sfiori il tallone perché io stramazzi al suolo.

-Come ti tieni in forma per sradicare gli alberi?
Tanto gelato!

-Sei più Braccio di Ferro o Bruto?
Senza dubbio Braccio di ferro.

-Tanti volti: quale donna?
La donna del mare, di Ibsen.

-A chi regaleresti la campana di vetro?
Ormai più a nessuno. L’ultima me l’hanno frantumata in testa.

Il sole, il cielo...

di Luca Fortunato


“Il sole, il cielo, l’odore e il sapore del mare…” sono il segno inconfondibile della terra di Calabria che Serena Maffia nasconde tra i versi, inneggiando il passato di grandi allori e amando “la mia terra è l’ulivo il mio corpo di sorgenti d’olio.” Pochi anni alle sue spalle ma lungo il cammino dei suoi passi che volge da una raccolta di poesie ad un’altra, da un testo per il teatro ad un altro, da un dipinto ad un altro ancora. Ora si è cimentata nella seconda pubblicazione del suo ultimo capolavoro in versi Sradicherei l’albero intero edito dalla Azimut che canta nella scioltezza delle parole un universo interiore approdato sulle rive del concreto presente. Una edizione così folgorante per il lettore che ha imprigionato anche Elisabetta Coraini noto personaggio della soap Cento Vetrine di Canale 5. L’attrice infatti ha affermato che: “mi stimola piacevoli emozioni visive e non solo, mi trascina in un mondo magico e insieme intimo e reale.… sono i versi di una giovane donna con una personalità, una forza d’animo, una saggezza fuori dal comune, e con un immenso bisogno di dare e di ricevere amore”.
Tanta forza questi versi della Maffia che si distendo dietro una macchina da presa per la regia di Fabrizio Portalupi e l’interpretazione della bella e coinvolgente Elisabetta Coraini. Il libro sarà presentato il 9 novembre alle ore 17:30 nel cuore di Trastevere nella città del Tempo, Roma, da Lidia GARGIULO, Francesco LIOCE, Plinio PERILLI, Alberto TONI e per esaltare il piacere delle emozioni sarà edita la visione del video girato sulle sillabe di Sradicherei l’albero intero.
Serena Maffia, spirito dinamico di sensazioni armoniche che si abbracciano ad un tempo di ricordi, ad un gioco di suoni che diventano sempre più nitidi fino a lasciare il posto ad un silenzio frastuono delle membra. Versi che cantano la storia come “intorno al cielo soltanto il mare” si accordano come un piano forte ed un violino alla musicalità penetrante, a tratti sconvolgente di ricerca della propria pace nei meandri di una Calabria che le appartiene e che è rivestita di foglie, di rami, di valli che sommergono il dipinto tetro di un androne tracciato di nero per quella terra dove il suo cuore ha aperto il vetro ed i suoi occhi si aprono all’immenso.
Maffia ha fatto un regalo alla sua terra, per qualche attimo i suoi versi ci proiettano in istanti dimenticati del germoglio fiorito che la Calabria poteva esprimere. Il suo libro è un gioco di luci e di ombre che si intrecciano e lasciano il passo al cuore, al puro amore che sorge nella vita di una donna, che sorge dentro di lei. Il sentimento è forte, incredibile, irraggiungibile che vuole custodire solo per lei in una campana “di vetro di sale. Sale di lacrime:le mie”.

Meritocrazia e istruzione:due cose incompatibili?

di Luigi Panfili


Nelle scorse settimane si è assistito alla proposta-shock del ministro Fioroni, il quale dichiarava che sarebbero ritornati gli esami di riparazione a settembre, come avveniva in passato. Ed ecco grandi levate di scudi dal mondo della scuola, in particolare da parte degli studenti, ecco immediati dibattiti parlamentari, con strepiti e critiche al ministro, al governo, a tutti.
Ma è proprio da questo episodio che voglio prendere le mosse per parlare di un argomento che nel nostro Belpaese è ancora tabù, un termine che al solo pronunciarlo si viene guardati male: il merito. Tanto si è dibattuto sui problemi ormai congeniti al nostro sistema scolastico, sulle nostre Università, ma anche sui guasti che quotidianamente vengono compiuti nei concorsi pubblici e nelle assunzioni da parte dei datori di lavoro. Il filo rosso che collega tutti questi temi, la scelta di base che si è chiamati a fare è sempre la medesima: nelle nostre scuole e nelle nostre università bisogna promuovere tutti sul presupposto che si è tutti uguali a questo mondo? O piuttosto si deve confidare sulla meritocrazia, e perciò distinguere il buono dal meno buono?
Il nostro sistema, a fronte di garanzie costituzionali e legislative tra le più all'avanguardia, nella pratica sembra rispondere sempre meno ai criteri meritocratici, e sempre più a quelli cooptativi, di lobby e appartenenza politica, sociale, economica. Oggi – per illustrare un esempio – i titoli di studio (diplomi, lauree, master) non servono quasi a nulla: il mondo del lavoro sente la pressante esigenza di valutare sempre e comunque una professionalità e una cultura assolutamente non garantite nemmeno dai voti più alti conseguiti al termine di un ciclo di studi. Allo stesso modo, l'imprenditore che vuole assumere un dipendente, poca o nessuna attenzione presta ormai al suo curriculum ricco di 100 e di 30 e lode e molto valuta le capacità effettive del singolo di saper svolgere con accuratezza e perizia le mansioni per cui è selezionato. Ugualmente, un professionista che vuole ampliare le proprie attività assumendo collaboratori, poco si interessa degli studi e dei risultati da questo conseguiti, molto invece si interessa di valutarne le capacità concrete e attuali nel saper svolgere il funzioni cui sarà preposto. Insomma, con questo intendo dire che alla base di tutto c'è una sostanziale sfiducia dei datori di lavoro più seri e per la maggior parte privati nei confronti del nostro sistema scolastico. E non a torto.
Di questi periodi si guarda alla scuola, elemento fondamentale di qualsiasi democrazia moderna e dal funzionamento della quale si misura la civiltà di una nazione, non come strumento, ma come fine. Mi spiego meglio: piuttosto che essere strumento di selezione dei migliori e di scarto dei peggiori (criterio meritocratico), la scuola è diventata fine ultimo di molti giovani. Essi infatti sono allo stesso tempo protagonisti e vittime insieme di questo cattivo sistema e si trovano, alla fine del percorso di studi, a dover dimostrare ancora e continuamente le proprie qualità certificate e attestate da scuole non più credibili. E' vero infatti che queste, non privilegiando i criteri di merito, consentono a tutti di andare avanti, di fatto rimandando sempre il momento di una seria verifica delle attitudini e delle potenzialità dei singoli, fin oltre il momento del primo impiego.
Il ministro Fioroni ha capito, e anche bene, la profonda “squalificazione” che caratterizza la nostra scuola, così come la nostra università. E il messaggio dell'altro giorno, così come altri provvedimenti recenti del suo dicastero ne sono un segnale inequivocabile. E' stato un risveglio doloroso per il ministro, il quale si è reso evidentemente conto che andando di questo passo presto avremo il crollo totale del nostro sistema di istruzione. A fronte di tanti guasti prodotti dalla riforma Berlinguer, la quale sembrava eliminare il concetto di merito dalle istituzioni scolastiche, e a fronte di altri guasti della riforma Moratti, si è cercato – fuori tempo massimo come al solito in Italia, ma ben venga – di porre un freno e un limite ad un sistema che io non esito a definire “degenerante”. I famosi “crediti formativi” nelle scuole medie superiori sono stati certamente una novità importante, ma ha portato a preferire la commedia e l'attività c.d. “formativa” alla grammatica italiana e alla matematica e fisica. Col risultato ben poco edificante che tutti noi oggi conosciamo poco l'italiano e abbiamo un gap notevole nei confronti degli altri paesi europei in fatto di preparazione scolastica scientifica. Siamo però ottimi commedianti, graziosi ballerini, eccellenti conoscitori dello strumento telematico, nonché splendidi musici, e via discorrendo. E nel mondo del lavoro spesso questo conta molto più di una perfetta conoscenza dei segreti della geometria. Si corre però il rischio di non distinguere bene cosa sia la scuola dell'obbligo e cosa – certamente altro – sia la scuola di canto, ballo, recitazione, informatica, musica e via dicendo. E nel frattempo, tutti promossi, anche con carenze gravi: per recuperare c'è sempre tempo!
Discorso non diverso vale per il mondo dell'Università. Con la differenza notevole dell'esistenza di due realtà sempre più differenti e distanti: le università statali, con sempre maggiori problemi di fondi e di finanziamenti; e le università private, a volte migliori a volte peggiori delle statali, ma certamente con più fondi disponibili, date le esose tasse che impongono ai propri studenti. Pregiudizio comune e frequente è che un Ateneo elitario e molto selettivo possa essere discriminante, perché i ricchi avrebbero maggior libertà di scelta, mentre i poveri – non avendo pari possibilità – si troverebbero costretti ad usufruire delle più scadenti strutture e delle meno prestigiose docenze. Io dico invece che aprire le università a tutti e renderle accessibili anche ai non meritevoli significa stravolgere il senso stesso dell'istituzione: gli Atenei, nati come centri di altissima formazione e di eccellenza si sono moltiplicati nel tempo sino a diventare un luogo accessibile a tutti, dove la selezione non si svolge o si svolge in modo inefficiente. E la soluzione per rendere più giusto il sistema non è – come da taluni profetizzato – aprire il mondo universitario a tutti e indistintamente. Anzi, sarebbe più giusto il contrario. Semmai sarebbe necessario aumentare ancora di più la selezione, privilegiando i più bravi e scoraggiando tutti coloro i quali non hanno i numeri per affrontare l'università. Quest'ultima non è un obbligo, non è una necessità: è una delle tante possibili scelte da farsi al termine delle scuole medie superiori. E non è assolutamente vero che i più bravi studenti universitari siano sempre i più ricchi. Tutt'altro: se si lavorasse su tasse e contributi, nonché sulle borse di studio, si permetterebbe anche ai non abbienti di affrontare le migliori università, portando ad unico criterio di selezione il merito e non più – come sempre più spesso avviene – il censo. E questo – secondo Alesina e Giavazzi, autori del fortunato pamphlet “Il liberismo è di sinistra” – può avvenire in due modi: addossando i costi delle università sugli effettivi utenti e non sul Contribuente; mettendo a punto un sistema efficace di borse di studio di merito, parzialmente di merito, ed esclusivamente a favore dei percettori di redditi più bassi. Da ciò risulta ovvio che si avrebbero degli incentivi notevoli a studiare, e farlo bene: i costi infatti ricadrebbero esclusivamente sulle famiglie degli iscritti ai corsi e non su tutti i contribuenti italiani. Con tali accorgimenti non si priverebbero i più meritevoli di alcunché. Anzi, si consentirebbe loro di vivere al meglio l'esperienza universitaria pur essendo in ipotesi del tutto sforniti di mezzi. Questa è meritocrazia. Questa è libertà.