di Matilde Tortora
Il suo recente film “Le rose del deserto” è tratto dal romanzo “Il deserto della Libia” di Mario Tobino e dal brano “Il soldato Sanna” che è in “Guerra d’Albania” di Giancarlo Fusco. Ha conosciuto personalmente Mario Tobino, Giancarlo Fusco, e l’altro scrittore viareggino Manlio Cancogni?
Sì, tutti e tre, soprattutto Fusco e Cancogni li ho anche frequentati, essendo noi coetanei nell’area di Viareggio, in Versilia; come lei saprà, anch’io sono di Viareggio.
È la prima volta che un suo film è tratto da opere letterarie?
Non è la prima volta, dei miei 65 film, altri cinque o sei sono stati tratti da opere letterarie, “Il male oscuro” dall’omonimo libro di Giuseppe Berto, poi da Benedetto Croce il mio “Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno”, l’episodio “Renzo e Luciana” da un racconto di Italo Calvino, che è nel film “Boccaccio 70”, film che girammo in quattro diversi episodi io, Visconti, De Sica, Fellini, poi ancora da Cechov quel racconto in cui un impiegato a teatro starnuta colpendo inavvertitamente la nuca del suo capufficio, un film tragico-comico, come è nel mio stile.
Lei ha mai pensato di fare lo scrittore?
Certo, vi ho pensato durante l’adolescenza. Ho anche debuttato per conto mio, ma non era il caso, ho ripiegato su un altro mezzo di espressione, le immagini in movimento, motion pictures, più alla portata, che allora stava nascendo, qualcosa che stava tra il circo equestre e il baraccone, il cinema.Tobino era medico e scrittore. Nel romanzo c’è la sua esperienza di ufficiale medico.
Il cinema è anche medicamento?
Può anche darsi, come tutto quello che attiene all’arte, alla fantasia e alla narrazione. Ma non sono nemmeno sicuro che il cinema sia arte poi.
E bella anche la locandina del suo film. Lei interviene e vuole approvare le locandine dei suoi film?
La locandina de “Le rose del deserto” è opera di Chiara Rapaccini, esperta di grafica, autrice anche di libri illustrati per bambini. Ha seguito le riprese del film, è stata sul set con noi e inoltre i disegni, gli appunti che ha preso durante la realizzazione del film, li ha appena pubblicati in un libro che s’intitola “Le mosche del deserto”, che proprio in questi giorni è in libreria.Quanto alla sua domanda, le rispondo che, be’ sì, sono intervenuto, ma non spetta a me l’ultima parola, spetta soprattutto alla distribuzione, che in questo caso è Mikado. E così anche per gli altri miei film, ciascuno ha fatto il suo lavoro.
La mente non può che riandare al suo grande film “La grande guerra”, del 1959. Dove lo giraste?
Sui luoghi stessi della grande guerra, nel Friuli, tra Gemona e Venzone, sul fronte stesso della guerra, c’erano ancora le tracce delle trincee, d’altronde erano passati davvero solo pochi anni dalla guerra.
Lei ha fatto la guerra in Libia?
Tre anni, dal ’40 al ’43, non in Libia però, ero stato mandato in Jugoslavia. Sa, allora, i giovani, a cominciare da quelli mandati in Libia, andavano nell’Oriente, da Mille e una notte, c’era una aspettativa, un’ ignoranza innocente, credevano di stare lì per consolidare una colonia italiana, come benefattori e non come nemici. Io ero meno innocente però, venivo da una famiglia antifascista, noi volevamo che l’Inghilterra vincesse la guerra, che noi la perdessimo, pur capendo che le cose andavano malissimo. E però, è vero, in Libia c’ero stato quando era una nostra colonia, c’ero stato come aiuto regista di Augusto Genina, sul set del film “Lo squadrone bianco”.
Perché ha sentito il desiderio di girare questo film “Le rose del deserto”?
Perché nel cinema italiano ci sono troppi pochi film su questa guerra. La memoria è una cosa importante, sentivo di essere sollecitato a questo. E poi c’è il libro di Tobino che desideravo da anni di portare sullo schermo.
I dialoghi sono del romanzo o sono suoi?
Una volta che avevo scritto il treatment, volevo leggerlo a una coppia di sceneggiatori giovani, mi hanno suggerito i nomi di Alessandro Bencivenni e Domenico Sverni, mi sono trovato benissimo con loro. Sì, i dialoghi sono tutti miei. C’è però alla base la lingua meravigliosa di Tobino, a tratti un toscano trecentesco, anche nel suo romanzo c’è umorismo, andrebbe proprio ristampato il romanzo di Tobino. Ad esempio il personaggio poi interpretato da Tatti Sanguineti, con la fissa dei cimiteri, c’è già nel libro. Tatti è uno storico del cinema, non è un attore, nel film fa molto bene questo personaggio.
Anche per “La grande guerra”, accanto a Sordi e Tognazzi, nei due indimenticabili ruoli, lei scelse di fare recitare attori non professionisti, ma già noti in altri campi.
Sì, è così. Scelsi per certi parti da caratterista Tiberio Mitri, che era stato un pugile famoso e Nicola Arigliano, un cantante noto. Scelsi anche persone sconosciute. Per la parte di un parroco scelsi anche di farlo impersonare a Compagnoni che era un alpinista celeberrimo. C’era pure la Mangano, nel personaggio di una prostituta che l’esercito organizzava di far arrivare come un “soccorso” per i soldati.
Ne “Le rose del deserto” oltre ad Haber, ci sono Michele Placido e Giorgio Pasotti protagonisti. Placido fa la parte di un frate italiano Fra’ Simeone da Cosimo, che chiede la collaborazione dei medici italiani per una missione umanitaria. Tutti bravissimi.
Nel suo film il maggiore Stefano Strucchi, interpretato da Alessandro Haber, legge Poliziano, cita dei versi di Campana, di Leopardi, di Omero, è un intellettuale spaesato che scrive lettere alla moglie, è colui che per salvare proprio queste lettere della moglie, torna indietro e trova la morte. Lei ha scritto molte lettere nella sua vita?
Credo di averne scritto pochissime, le signore con le quali ho avuto un rapporto affettivo, sostengono che ne abbia scritte molte, ma io non credo, non credo proprio.Che rapporto ha con gli oggetti?Non conservo, no, distruggo tutto, non mi porto dietro niente, ho cambiato 27 volte casa e non conservo né libri, né dischi, né oggetti.
Suo padre era uno scrittore, un drammaturgo.
Sì, lo ero, ha scritto diverse commedie, era anche autore di racconti. Egli era di Ostiglia, provincia di Mantova, anche mia madre era di Ostiglia, un suo libro di racconti ad esempio s’intitolava “Aia, madama”, comprendeva racconti di contadini, primi ‘900, che si radunavano a fare feste, in quei racconti si raccontava la vita di Ostiglia. Un amico mi ha da poco regalato un libro di mio padre, “Crepuscolo” pubblicato da Mondatori nel 1920, un libro che egli ha trovato su di una bancarella, contiene racconti molto crepuscolari per l’appunto, anche erotici. Di mio padre ricordo anche due libri per bambini “Nullino” e “Stellina” del 12 -15, pubblicati da Mondadori; sa, erano imparentati, Andreina la sorella di mio padre aveva sposato Arnoldo Mondadori.
Nel suo film ci sono pochi colori, tutto appare molto poco romantico, palme aride, un certo squallore, i colori sono acidi, un immaginario visivo poco convenzionale del deserto, cui poco ci hanno abituati gli altri film ambientati nel deserto.Mi viene da domandarle: Lei preferisce i film in bianco e nero o a colori?
E infatti il deserto non è romantico, volevo che desse l’idea dello squallore, che respingesse, che il deserto sia amorevole questa è l’idea che soprattutto le donne ne hanno, ma il deserto è davvero altra cosa. Quanto alla sua domanda i film non solo li preferisco in bianco e nero, ma anche muti. Ritengo che il cinema ha cominciato a corrompersi con l’invenzione della colonna sonora.
Le colonne sonore dei suoi film sono state però importanti.
Sì, è vero, grazie a Rustichelli che era un ottimo musicista. E le sue musiche sono parte integrante del successo dei miei film.
Quali sono adesso i suoi progetti. Girerà un altro film?
No, non ho in progetto un altro film, ho in progetto di fare invece un viaggio. Andrò a Teheran in febbraio, sono stato invitato da l regista Kiarostami, per conoscere la Persia, quello che insomma un tempo si chiamava Persia, andrò in Iran.
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