sabato 1 dicembre 2007

Evviva la libertà di stampa, ma...

di Luigi Panfili




Un grande problema ci si deve porre oggi in Italia: è un interrogativo cui è difficile rispondere, ma è un punto che è necessario trattare – ancor più alla luce degli eventi più recenti della cronaca politica – per far chiarezza su cosa si intenda per libertà di stampa e di cronaca.
La questione è semplice: la libertà di stampa è un diritto fondamentale illimitato oppure deve in taluni casi ritrarsi in favore di altri princìpi, anche questi fondamentali, che spesso nella pratica quotidiana vengono col primo a collidere? In sostanza, mi chiedo, si tratta di un diritto assoluto, sconfinato e per tanto definibile come un “superdiritto”, o – piuttosto – questo non deve essere rapportato, relazionato, raffrontato, relativizzato con altri basilari princìpi dell'Ordinamento repubblicano? A me interessa qui in particolare il rapporto tra il diritto alla cronaca e il processo penale.
Prendo subito posizione sul dilemma, e spiegherò quindi i motivi che fondano la mia scelta. Per me è necessario che alla libertà di stampa facciano da corollario almeno altri due princìpi. Il primo: la presunzione di innocenza; il secondo: la riservatezza di fatti che attengono alla sfera del personale e personalissimo. Ogni giorno vediamo quotidiani a tiratura nazionale e programmi televisivi che “sbattono” in prima pagina i contenuti di intercettazioni telefoniche riguardanti fatti privati; illustrano dinamiche interne ai Palazzi di Giustizia che di veritiero hanno spesso molto poco; ci informano su presunti litigi e divergenze di vedute tra pubblici ministeri; ci mostrano in prima serata esperti di ogni materia che dissertano su gli argomenti più gravi e seri con la stessa tensione morale con cui si svolge una una conversazione da thé.
Il più delle volte tutto si rivela una montatura (fatta di proposito per aumentare le vendite: è infatti sempre il profitto e l'interesse che muove il mondo giornalistico), altre volte è tutto vero, ma con ciò si violano palesemente i segreti istruttorii e d'ufficio (necessari alle indagini), nonché la privacy (diritto di prim'ordine che spetta all'imputato). In una parola, viene meno il sacrosanto diritto alla riservatezza. Ora è necessario fare una distinzione tra ciò che il diritto di cronaca è, e ciò che invece è nient'altro che una illecita, impropria e – a mio avviso – poco salutare intromissione in fatti altrui. Recentemente si è verificato il caso delle intercettazioni UNIPOL: documenti “segretati” che – offerti alla consultazione dei legali di parte – sono finiti (nonostante numerose cautele predisposte dal magistrato competente) pubblicati sui quotidiani del giorno dopo. Se si guarda al passato si scopre che questo malcostume non è di origine recente. Penso alla fuga di notizie dall'Ufficio Istruzione penale di Palermo che nel novembre 1985 a momenti non pregiudicava l'effettuazione della vasta operazione di polizia di poco antecedente l'inizio del “maxiprocesso”a Cosa Nostra. In una notte furono impiegate tutte le stampanti e le fotocopiatrici del Palazzo di Giustizia palermitano per preparare gli atti necessari all'arresto di oltre trecento persone e cercare così di anticipare la stampa, che – avendo ricevuto notizie riservate – sicuramente le avrebbe divulgate il giorno dopo, mettendo in allarme i destinatari dei provvedimenti.
Ora, dico io, questi esempi sono già un andare oltre i limiti della libertà di stampa e di cronaca. Non si deve consentire – infatti – ai giornalisti (o chi per loro) di pregiudicare i risultati di chi – svolgendo la propria professione al servizio dello Stato (magistrati), o nell'interesse dei singoli (avvocati) – abbia necessità di mantenere segreto il frutto del proprio lavoro. E' questo il caso specifico del processo penale italiano, nel quale si assiste ad un progressivo ed inesorabile venir meno delle più elementari garanzie democratiche. Oggi una persona che riceva un avviso di garanzia è già condannato dal “circo mediatico”; figuratevi poi se si riceva un ordine di custodia cautelare in carcere: apriti cielo, si è già pronti con la forca! “Se va in carcere, è certamente colpevole”, è il ragionamento di molti. La stampa, certa stampa, dimentica troppo spesso il principio fondamentale della presunzione d'innocenza, in favore delle maggiori vendite e profitti che una campagna mediatica senza esclusione di colpi e morbosamente attaccata alla foto rubata, all'intercettazione carpita, ad ogni modo colpevolista garantirà al quotidiano (o alla rete TV, è lo stesso).
Potrebbe essere in tal senso appropriato quanto meno ricordare al lettore la vicenda del “caso Tortora”, laddove si condannò il popolare conduttore televisivo prima ancora che in un'aula di tribunale, sulla stampa e in televisione: tutto si dimostrò sbagliato solo in seguito. Ma chi ripagherà mai Tortora del danno subito e della salute rovinata?
E allora, ritornando al discorso generale sulla libertà di stampa, mi viene da sorridere quando sento dire agli avvocati penalisti che oggi le comunicazioni dalla Procura ai propri clienti le si leggono prima sul quotidiano e solo in seguito le si ricevono notificate nel proprio studio sulla carta intestata dell'ufficio; mi chiedo dunque: ma è questa una cosa giusta? E' questo sistema normale in un paese democratico? La libertà di stampa e il diritto di cronaca sono importanti, fondamentali, sono il sale della democrazia. Ma si devono fermare dinanzi a due princìpi di ben più grande portata: la presunzione d'innocenza, tale per cui non si è colpevoli se non dopo un giusto processo regolato dalla legge che abbia accertato la responsabilità; e la riservatezza, che necessariamente deve coprire un certo tipo di atti o un certo lasso di tempo, per non pregiudicare i risultati del lavoro di tanti “operatori del diritto” penale. Difatti, a che cosa serve affermare con tanta altisonanza il diritto alla privacy, se poi – di fronte alla logica del profitto – si china il capo e non si esita a pubblicare notizie le quali – quando non false e tendenziose – giudicano un processo che non è quello giurisdizionale, previsto dalla Costituzione, ma è un vero e proprio processo mediatico? E' invece molto scorretto che certa stampa e certa televisione usi la libertà di stampa e il diritto di cronaca quale grimaldello per scardinare qualsiasi genere di critica, immediatamente bollata come anti-democratica e incostituzionale, e mascherare così i maggiori profitti e il più fiorente business che con quella dissennata campagna stampa o con quello sconsiderato servizio televisivo si vanno a conseguire, in barba alla presunzione di innocenza e al diritto alla privacy.
Pertanto evviva la libertà di stampa, purché questa sia sana e rispettosa, però. Non rispettosa di qualcuno, per carità; bensì rispettosa dei princìpi legali e prima ancora morali, che impediscono di trasformare in business mediatico le pene e le disgrazie patite da chi – colpevole o peggio ancora innocente – abbia a che fare con un procedimento penale. E' in ciò che consiste quel quid che differenzia un paese realmente democratico da una Repubblica delle Banane.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Good post.