venerdì 5 ottobre 2007

Antipolitica: l'ennesima muta del serpente italiano?

di Luigi Panfili



Recentemente il ciclone dell'antipolitica ha monopolizzato l'attenzione mediatica nazionale, scatenando un'aspra polemica. Ma che cosa sia questa antipolitica sono davvero in pochi a comprenderlo.
C'è chi – come buona parte della politica italiana attualmente al potere – non conosce qualificazioni della politica: non esiste buona o cattiva politica. Esiste solo la politica, così per come concepita da questa classe dirigente, decisamente avanti con gli anni e sicuramente ormai alla fine di un ciclo iniziato negli anni '60-'70 e proseguito indenne per decenni, sotto l'egida della DC e del PCI prima, del Polo e dell'Ulivo poi.
In questo lasso di tempo si sono visti gli effetti e si sono provate le conseguenze del “sessantotto”; si è cavalcata l'onda dello stato d'emergenza causato dal terrorismo (rosso, nero, poco importa) e dalla mafia; si è conosciuto delle trame eversive ordite dalle logge massoniche coperte e dei colpi di stato predisposti fin nei più piccoli particolari (ma fortunatamente mai attuati); si è vista la fine della guerra fredda e del duopolio USA-URSS che ha caratterizzato la politica internazionale fino alle soglie del 1990. Tanta acqua è passata sotto i ponti. Ma la classe politica italiana – e i partiti che ne sono stati espressione – non sono mai cambiati. Sia nelle persone che nelle strutture.
La c.d. “seconda Repubblica”, locuzione con cui si indica ormai correntemente la nuova classe politica emersa dopo le indagini di Tangentopoli, in realtà non è stato altro che una muta del serpente della politica: la sostanza è cambiata poco o nulla. A fronte di cambiamenti epocali che avvenivano nella società, nell'economia, nei costumi e nelle visioni politiche, in Italia ci si è limitati ai soliti “pannicelli caldi” cui siamo da sempre stati abituati.
Ecco perché oggi la strabiliante ondata di consensi catalizzati da Beppe Grillo ingenera nella nostra classe politica dei veri e propri attacchi di panico. Il vaso di Pandora scoperchiato dal comico genovese ha avuto tale successo perché non più rispondente alle vetuste logiche di partito: attraverso l'uso della rete, Grillo è riuscito a sfruttare una forma di comunicazione non censurabile, non lottizzabile e non controllabile dalla politica. La scarsa conoscenza e ancor più scarsa capacità di fare uso di Internet da parte degli attuali esponenti della classe dirigente del paese, ha fatto sì che nessuno si accorgesse di nulla fino alla nota manifestazione del V-Day di Bologna. La raccolta in poche ore di più di duecentomila firme, per concretizzare una legge di iniziativa popolare contenente norme che impediscano a persone condannate a titolo definitivo di sedere sui banchi del Parlamento, è stata una performance straordinaria. Tutto ciò – come ha scritto Sartori sulle colonne del Corriere della Sera – ha fatto veramente mancare la terra sotto i piedi a quanti come Prodi e Berlusconi, forti del controllo mediatico dei mass-media tradizionali, si sentivano sicuri e inattaccabili così come è stato negli ultimi cinquant'anni per la politica italiana.
Il “Vaffanculo-day” di Bologna ha messo in luce (in modo eclatante e plateale) le mancanze più evidenti della classe politica italiana. In primo luogo, il venire meno della questione morale: oggi in Italia si ha una concezione della politica alquanto affaristica, piuttosto che di servizio reso nell'interesse della nazione. Non ci si pone più il problema di ciò che sia giusto o sbagliato, ma solo se sia conveniente o meno in termini di consenso nel breve termine. Il politico mira soprattutto a garantirsi la rielezione, cercando di venire incontro a qualsiasi istanza proveniente dal corpo elettorale. Se questa poi sia lodevole o meno, giusta o sbagliata, moralmente deprecabile o integerrima, questo poco importa.
In secondo luogo è necessario riconoscere che la politica italiana è vittima di una forma acuta di autopoiesi chiusa: è un sistema autoreferenziale che continuamente ruota intorno a sé stesso, stabilendo prima le regole e violandole un attimo dopo; affermando di essere sempre dalla parte giusta, pur commettendo errori marchiani; credendo di non doversi mai sottoporre ad alcun tipo di controllo o di sindacato (sia esso solo politico, o anche giudiziario). Questa è la “Casta” cui i giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo si riferiscono nel loro libro, vera e propria Bibbia da tenere sempre sul comodino per qualsiasi buon politico italiano.
Altro elemento a mio avviso fondamentale è la sostanziale vecchiezza della nostra classe politica: nel Regno Unito il premier Tony Blair ha governato il paese per ben dieci anni, fino ai cinquant'anni; anche negli Stati Uniti il presidente Bush, così come Clinton prima di lui, è salito alla Casa Bianca intorno ai cinquant'anni; e così Putin in Russia e Sarkozy in Francia. In Spagna Zapatero (e Aznàr prima di lui) sono diventati primi ministri addirittura prima, a quarant'anni! In Italia invece a quarant'anni si è ancora portaborse (possibilmente pagati in nero); a cinquant'anni ci si affaccia alla politica che conta. Ma per avere la guida del paese bisogna averne almeno settanta: Berlusconi e Prodi ne sono la dimostrazione. Probabilmente, come intelligentemente sottolineato da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi nel loro pamphlet “Il Liberismo è di Sinistra”, la crisi della politica è dovuta in gran parte alla mancata capacità di rinnovamento e di ricambio che affligge il nostro sistema partitico. Le novità, che pur ciclicamente compaiono in Italia, tanto tra i leaders quanto nei programmi, o non danno frutti, o – peggio ancora – vengono inglobate dalle realtà preesistenti. Se poi le stesse arrivino mai al potere, immediatamente si adeguano al sistema, diventando parte integrante della stessa classe politica precedentemente criticata. E' successo con la Lega Nord, è successo con Forza Italia, è successo con i girotondini e con i radicali. E lo stato attuale delle cose non mi fa ben sperare anche per il nascente Partito Democratico, chiunque ne diventi il segretario.
Infine bisogna notare – come dimostrazione del sopirsi in Italia della coscienza critica dell'opinione pubblica – quale risonanza mediatica abbia avuto quello che in ultima analisi è stato uno spettacolo di un comico. Il Vaffanculo-Day di Beppe Grillo, per toni e per modi, è stato più uno show teatrale che una vera e propria manifestazione politica. Tuttavia i contenuti e l'oggetto del V-Day hanno sollevato e reso palesi tutti i suddetti temi, certamente tra quelli di più scottante attualità. Temi che dovrebbero essere all'ordine del giorno in Parlamento e in qualsiasi dibattito televisivo, nonché al centro dell'attenzione da parte dell'opinione pubblica, sono stati trattati e discussi da un comico. E tutto ciò la dice lunga sull'incapacità della nostra attuale classe dirigente di prospettare soluzioni vere ai problemi più pressanti che il paese ha bisogno di risolvere.
Sarà questa l'ennesima muta del serpente italiano?

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