di Carlo Andreoli
Molti sanno che Gianni Vattimo è uno dei filosofi importanti del panorama internazionale; ma pochi sanno, forse, che Vattimo ha radici calabresi. Suo padre era, infatti, originario di Cetraro; ed a Cetraro Gianni Vattimo ha vissuto buona parte dell’infanzia; conservando indelebili ricordi di cui rimane traccia, a ben vedere, anche nel suo modo di pensare.
Nato a Torino nel 1936, dopo un’educazione di tipo cattolico, Vattimo collabora, a 20 anni, ai programmi culturali della Rai, assieme a Umberto Eco e Furio Colombo. Nel ’59 prende la laurea in filosofia; e si trasferisce per due anni in Germania dove, all’Università di Heidelberg, si perfeziona alla scuola di Gadamer e Loewith. A Torino continua invece a seguire l’insegnamento di Pareyson, titolare d’Estetica; ed all’estetica dedica, nel ’61, il suo primo saggio critico. Segue poi una fortunata carriera accademica. Nel ’64, è titolare di cattedra all’Università di Torino; e, negli anni ’70, è nominato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia. Fonda e dirige una “Rivista d’Estetica” e tiene lezioni nelle università americane di Yale, Los Angeles e New York. Intanto il suo catalogo di libri s’arricchisce di titoli che gli danno sempre più notorietà internazionale. Fintanto che nel 1983 pubblica l’opera che sintetizza il suo pensiero filosofico, consacrandolo come uno degli interpreti più autentici della società contemporanea: “Il pensiero debole”. In tutto questo, entra anche un impegno politico concreto; che va oltre gli articoli che pubblica su La Stampa, Il Manifesto, L’Unità e L’Espresso. Aderente dapprima al Partito Radicale, passa quindi ai Democratici di Sinistra; sostenendo il progetto dell’Ulivo, per diventare nel ’99 parlamentare europeo. Da ultimo, s’avvicina al raggruppamento dei Comunisti Italiani; tentando anche disperate imprese in periferia: come la candidatura a sindaco, nel 2005, nel Comune di S. Giovanni in Fiore. E’ questa l’occasione d’un ritorno alle sue origini: in cui ricorda il padre cetrarese e gli anni dell’infanzia vissuti nelle campagne di Cetraro. A Cetraro torna, in visita ufficiale, due volte: nell’86, tiene un’affollata conferenza in cui, tra l’altro, ricorda i luoghi tipici del suo passato: vedere il mondo tra filari di viti e pomodori è un’esperienza che non si scorda mai, sostiene. Nel ’96, gli viene poi assegnato il “Premio Losardo”; che dice con modestia di meritare forse perché, pur lontano da Cetraro e i suoi problemi, col suo lavoro di studioso aiuta gli altri a capire la realtà delle tante periferie del mondo. Un concetto, questo, che è alla base del suo sistema di pensiero; dove ammette che, più che la ricerca di verità assolute, la filosofia dell’era post-moderna deve invece proporsi di render chiaro che “l’unica verità ammissibile è l’esistenza di diverse verità”; nessuna delle quali abbia un valore preminente sulle altre, essendo tutte utili a capire e rispettare i diversi aspetti e valori del reale. Non esiste, quindi, una sola verità cui l’uomo debba attenersi e conformare la sua vita; ma una pluralità dispiegata di valori cui bisogna aderire per interpretare l’esistenza; vivendo l’apparente nichilismo di questa posizione non come una sconfitta ma come una risorsa. Una concezione del mondo, insomma, dove l’altro non è mai visto in termini comparativi: come migliore o peggiore di noi; ma semplicemente come diverso da noi: e perciò stesso altrettanto utile e necessario.
Un bel programma di pensiero, quello del filosofo di sangue cetrarese: buono per capire il mondo d’oggi; ch’è divenuto un villaggio globale, dove spesso convivono nello stesso luogo molte lingue, culture e religioni. Ma buono pure per uscire di casa la mattina: e riscoprirsi più sereni, tolleranti e fiduciosi nel domani.
Radio1One
(Venerdì 4 Aprile 2008)
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