di Matilde Tortora
“Quel tredicenne rimase interdetto un po’ più a lungo: ritornò al cinema, ma la maschera stava tirando giù la saracinesca. Per quel giorno, niente più film. - Puoi tornare domani - disse al giovane e deluso spettatore - conserva il biglietto”.
Vittorio Martinelli, il più grande storiografo del cinema muto italiano, morto ieri a Bologna all’età di 82 anni, di saracinesche ne ha fatte tirare su tantissime durante gli ultimi quattro decenni, interrogando e immergendosi in archivi, polverose carte, facendo parlare in modo inusitato liste di censura, facendo aprire caveau e ritrovando film in tante parti del mondo e non ha consentito, a questo dedicando ininterrottamente le sue energie, che ci fosse interdizione tra noi e il cinema, che per lui significava profondamente sia la sala dove potere vedere i film (era per noi tutti già una lectio magistralis scorgerlo immerso nella visione di un film) sia i film stessi, realizzando sulla propria pelle di spettatore e di ricercatore quel che il linguaggio già dice e di cui noi tutti non sempre siamo avvertiti, e attivando con la sua grande anima di detective del sommerso, del già dimenticato, del … a un passo dalla sparizione totale e assoluta dimenticanza una ricerca continua, e nel contempo dando avvìo ad un metodo unico, necessario e fondativo per la storiografia del cinema muto.
Quel “puoi tornare domani” che gli sottrasse per sempre quel lontano giorno del 1940 a Napoli (la città dove era nato nel 1926 e dove allora viveva) la visione del film che, come leggiamo nella intensa sua introduzione ad uno dei suoi recenti libri dal titolo Una frequentazione rarefatta. Il cinema inglese fra le due guerre e la critica italiana era il film Settimo: non rubare (Diamond cut diamond), ma infinito sarebbe il dire i titoli dei film, i nomi dei registi, degli attori, delle attrici cui egli non solo tornò, ma di cui ha consentito a noi tutti, sia semplici spettatori sia alla comunità degli studiosi di cinema, non solo italiani ma del mondo intero, di potere ritornare.
Se per davvero tornare rimanda al tornio del fabbro, i trucioli che il grande fabbro del cinema muto italiano Vittorio Martinelli (fu con Aldo Bernardini l'autore di una fondamentale opera in ventuno volumi sul cinema muto italiano) ci ha lasciato intravedere nel suo prezioso lavorìo, sono trucioli con bagliori nel contempo divini (alludo al suo libro Le dive del silenzio ad esempio, ma moltissimi sono i suoi libri, le sue liste, i suoi articoli e i suoi testi in volumi collettanei, una vera summa del cinema muto) e tanto profondamente umani: leggere i suoi libri allo stesso modo che avere avuto la fortuna di frequentarlo e lavorare con lui (ho avuto il grande privilegio della sua amicizie e di avere realizzato assieme a lui due libri) significava ogni volta toccare con mano quanto per davvero il cinema fosse faccenda umana prima che culturale, faccenda a noi necessaria, per noi feconda e amicale, parte viva e imprescindibile della nostra vita.
Pochi anni or sono, ad un’edizione de Le Giornate del Cinema Muto di cui Vittorio Martinelli era da sempre stato anima, così come lo è stato fin dall’inizio per Il Cinema Ritrovato di Bologna, fino all’ultimo con ambedue ha attivamente collaborato in ricerche, eventi, pubblicazioni (aveva inoltre da poco trasferito il proprio archivio alla biblioteca 'Renzo Renzi' della Cineteca di Bologna), come tutti in sala, avemmo modo di sentire da un grande studioso straniero sul palco dire: il mondo intero vi invidia, magari lo avessimo anche noi un Vittorio Martinelli!”.
Purtroppo egli oggi se n’è andato, ma grande è l’eredità anche di intenti che egli ci ha lasciato: non lo dimenticheremo, né lo potremmo mai.
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